Tra beat taglienti ed elettronica sperimentale è nato Sarabe, il nuovo EP dell’enigmatica band Italo – persiana NAVA creatori di un mix intrigante, industrial, adorato dai media musicali internazionali più influenti tra cui BBC e Clash (non a caso, si esibiranno nel loro primo live show nel Regno Unito alla Sebright Arms di Londra l’8 settembre).
Cresciuto nella città cosmopolita di Milano, nel 2016, Il progetto prende spunto dalla fiorente scena musicale elettronica nostrana come dalle sonorità internazionali alla Arca, Apparat e Purity Ring, regalandoci un mix culturale unico, che fonde il background iraniano di Nava Golchini agli incisivi arrangiamenti sperimentali della band, in qualcosa di veramente viscerale, sia musicalmente che visivamente. L’EP è stato registrato e prodotto principalmente dal produttore / compositore Francesco Fugazza (membro della band NAVA e attivo nel panorama italiano come produttore e musicista della popstar Mahmood) che nella fase di registrazione delle voci è stato affiancato dal fonico Stefano Scattolin (Myss Keta, Mahmood), mixing engineer dell’intero EP. Gli elementi visivi legati a questo disco, prodotti per la maggior parte in isolamento, presentano la massima creatività italiana con opere del fotografo Matteo Strocchia e del designer Martino Pastori, del pluripremiato artista visivo Lorem impegnato un viaggio straordinario attraverso una realtà creata con l’uso di reti neurali artificiali, oltre a Simone Rovellini, famoso per i suoi videoclip fuori dal comune.
Il disco, che ci viene qui raccontato traccia dopo traccia, vede la band esplorare i soggetti più oscuri della natura umana. Il tema fondamentale che corre lungo tutti i quattro brani è lo sconosciuto limbo in cui ci si trova immersi nel momento di un nuovo incontro.
“Potrebbe essere magico, mistico e magnetico, ma in una frazione di secondo può schiantarsi a terra e vanificarsi e tutto ciò che ti rimane è un cumulo di cenere. Fondamentalmente, si rischia di vivere in un’illusione che potrebbe andare avanti in eterno.”
Hold è la canzone più innocente e naif che abbiamo scritto. È ingenua perché tutto inizia a crollare quando ti senti invincibile. Ti dà la sensazione di volare tra le nuvole, di stare in un sogno, ma in un attimo ti ritrovi sull’asfalto freddo e duro. Hold è la traccia perfetta per far vedere il nostro lato vulnerabile, che era rimasto nascosto nel Body.
Abbiamo creato la melodia di You in una studio session da Francesco. Ero lì a registrare un’altra traccia quando me l’ha fatta sentire, e il ritornello è saltato fuori subito. La difficoltà di You, oltre il dover respirare mentre la canto, era trovare una strofa potente quanto il ritornello ma non troppo invasiva. Abbiamo pure fatto una session con Domenico Finizio dei Tropea per vedere che idee sarebbero nate, giusto per uscire dal nostro loop. You parla di un rapporto tossico, a volte delle persone ci sono così vicine che quasi fanno parte di noi e staccarsi da loro è un po’ come mutilarsi. Però You non parla solamente di due persone: può riferirsi anche a un brutto rapporto che si ha con sé stessi, che ci mangia dentro.
Io vedo Sarabe a colori rossi, gialli e blu. I colori del “kavir Lut”,un deserto vasto nel cuore dell’Iran. È l’unico modo con cui posso esprimere la malinconia con cui vivo. Sarabe è familiare, è calda ed è invitante. Ti fa sognare ma, quando scende la notte, rimani con la consapevolezza che si trattava di un miraggio e niente di più.
Skin è come una storia d’amore così surreale da non sembrare umana. Trovo assurdo come siamo tutti fatti di pelle, tutti umani, eppure riusciamo ancora ferirci a vicenda attraverso una quantità travolgente e surreale di affetto: puoi soffocare in un abbraccio o romperti le dita se tieni le mani troppo strette. Tranne gli esseri umani non riesco a pensare a nessun’altra specie in grado di farsi questo. Ecco perché lo trovo alieno. Questo tema ricorrente viene anche ripreso in Hold, You e nel nostro primo EP Body. In Sarabe invece, questo sembra un desiderio lontano che svanisce come un miraggio.