Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.
Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.
Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.
Vipera, As with fire
Venuta fuori dall’altra parte dello specchio, Vipera ricorda una commistione di dualismi: ha la genuinità dell’Alice in Wonderland, ma vestita da Regina di Cuori. Capelli ondulati stretti sulla nuca, viso ricoperto di cipria, labbra e sopracciglia disegnate come se fosse una diva dei ruggenti anni Venti. Lo stile eccentrico e misticheggiante, si compenetra ad una sonorità che richiama alla contemporanea ricerca nel mondo della musica underground. In questo binomio di stili e scelte armoniche, non manca una voce e una lingua ibrida che si unisce ad un’istrionica espressione artistica e teatrale dell’artista.
Mahmood, Inuyasha
Non ha la stessa chioma platino, indossa però lo stesso kimono rosso, una katana o un arco montato sulle spalle e orecchie aguzze: questo il nuovo outfit con cui si è presentato Mahmood per il suo ultimo singolo…a chi vi riconducono questi pochi ma fondamentali indizi? Ma è chiaro, ci stiamo riferendo al mezzo demone Inuayasha, che diventa per il Mahmood un modello da emulare e divinizzare. Con i suoi elementi da guerriero, anche il nostro artista è pronto a combattere contro i propri demoni interiori, che molto spesso fuoriescono danneggiando anche le persone a cui teniamo di più.
WLog, 20 punti
Un salto negli anni Ottanta con Wlog: baffo folto e barba rasata, una montatura tutta lenti ci impedisce di vedergli le pupille tanto sono scure, scure come la chioma che ricorda il mullet, taglio o acconciatura che tutti gli amanti degli anni Ottanta e Novanta non possono non ricordare. Il rischio a volte può essere quello di somigliare troppo al cantante svedese Günter, ma del resto a chi piace osare nella moda come nella musica, così come accade anche per Wlog, il creare
Joan Thiele, Atto I – Memorie dal futuro
Stavolta decido di mettere insieme i due brani “Cinema” e “Futuro wow” di Joanita, sia perché maestra indiscussa di style (e solo per questo merita un posto in rubrica), sia perché la verità è che “Cinema” a “Futuro wow” sono indissolubili, come una il prosieguo dell’altra, danno vita al primo atto di “Memorie dal futuro”. Joan Thiele, come i suoi due brani ne veste l’ambiguità: una corona a raggiera la dona il fascino misterioso di una diva del cinema anni Venti, eppure l’abito non smentisce la sua provenienza dal futuro. Un outfit perfettamente in linea con l’ossimorico titolo del primo atto, il quale unisce allo charm del passato la ricercatezza tutta contemporanea. È proprio in questa linea del paradosso che Thiele riesce a far attrarre gli opposti: urban e vintage, bianco e nero, cinema e teatro sono in “Memorie dal futuro” le due facce della stessa medaglia.
La rappresentante di lista, Alieno
Venuto fuori da un involucro lattiginoso, “Alieno” è l’ultimo brano del duo che si fa singolo (o meglio singola), sto parlando ovviamente de La rappresentante di lista. Veronica e Dario esaltano il loro essere unici e uniti indossando assieme la stessa giacca: il braccio di lei in una manica e il braccio di lui nell’altra, a voler riconfermare che non dovrebbero più esistere confini di genere e che l’unica soglia che dovremmo essere pronti a valicare è quella del dolore. “Alieno” vuole essere qualcosa di altro, vuole essere l’altro; l’altro dal punto di vista di chi ci considera diversi, quando in realtà abbiamo semplicemente avuto il coraggio di essere noi stessi.