Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.
Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.
Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.
International Washing Machines, false ipotesi
Psichedelia o onirismo? Poco importa quando il confine tra sogno e realtà diventa così labile tanto da confondersi. Del resto, questa è l’ottica di International Washing Machine, o meglio, la sua percezione della musica, che, come il suo volto si tinge di macchie colorate. Questi non possono che essere gli sprazzi attraverso cui vedere il mondo e sentire quanta bellezza contiene. Eppure, tutto ciò non può che accadere solo e soltanto se, il reale e l’immaginario, la fantasia e la ragione riescono a trovare il giusto mezzo, il punto d’incontro che li rende così diversi ma allo stesso tempo così tanto complementari.
Mombao, Toi pa
Più che soltanto un singolo, “Toi pa” è una performance artistica: una rivisitazione in chiave elettronica di un antico testo folcloristico biellorusso appreso durante un laboratorio di teatro. Insomma, più style di così! I Mombao li abbiamo già conosciuti non solo per l’uso insolito dei suoni quanto piuttosto dei colori e della pittura in modo particolare. I Mombao, infatti, sono soliti dipingersi di un colore ad ogni singolo. Quest’ultimo risplende del colore dell’oro, simbolo probabilmente della preziosità intrinseca dell’arte e della musica.
Asia Argento, Dj Gruff, I’m broken
Immagino non ci sia bisogno di grandi presentazioni, né di tante osservazioni sullo stile unico, rock e ribelle di Asia Argento, che, affamata di arte, si getta a capofitto anche nella scrittura musicale con “I’m broken”. Non è finita qui. Se la poliedricità è il pasto quotidiano per la sopravvivenza dell’artista, allora in questo girone di parole e scratches non poteva mancare anche un riferimento pittorico. L’Argento, infatti, si ispira in questo brano alla resilienza dell’artista Frida Khalo, che, come monito personale, si ritraeva sofferente nei suoi quadri quando la vita la costrinse al letto. Sulla stessa riga, per l’appunto, “I’m broken” vuole esprimere la forza di ricucire i pezzi quando tutto sembra essere andato in frantumi.
Sesto, Galleggianti
Ci ricorda l’America con quel suo look da skaterboy, eppure ci ricorda anche il mare, quello aperto e sconfinato: stiamo parlando di Sesto, artista triestino che si fa notare sulla scena alternative non solo per i suoi outfit. “Galleggianti”, il suo ultimo singolo, è un brano sociale senza essere politico, è etico senza essere troppo filosofico. Le atmosfere elettroniche a tratti psichedeliche servono a raccogliere in un forte abbraccio tutto il cantautorato che c’è in Sesto, il primo tra gli ultimi, e che, tuttavia, sa bene come far riemergere in noi tutto ciò che fingiamo non esista fuori dalla porta di casa, mentre lì fuori c’è qualcuno che sta gridando per non galleggiare più.
Biagio, Stefanelli, Celovuoi
Synth e atmosfere disegnano i contorni allucinati di “Ce lo vuoi”, singolo d’esordio di Biagio. Sarò sbagliata io, eppure ogni volta che mi ritrovo ad ascoltare canzoni “alla Mac de marco” non posso far altro che immaginarmi lampade di lava nei colori fluo: arancio, viola, giallo acido, blu elettrico che sinuosamente formano quelle bolle che si uniscono e si allontanano, un po’ come le nostre menti che rivivono questo mood ascoltando chitarre distorte e batterie sfasate.
Opera, L’arte prima
Di Opera oltre che la sua musica, non poteva saltarmi all’occhio tutto lo stile prettamente rivoluzionario e artistico che lo caratterizza. Del resto, il nome e il titolo del suo album “L’arte prima” ci fanno ben capire in che direzione stiamo andando premendo play sullo schermo. Eppure, tutta la deontologia di Opera sta nel brano che apre il disco: “Intro” è infatti il manifesto di un’idea di matrice Benjaminiana che vuole che l’opera d’arte, in quanto tale, può essere riprodotta una e una sola volta per mantenere la sua aura di credibilità. Opera è qui infatti proprio a rompere tutti gli schemi, a squarciare tutti i veli e a portare avanti l’arte per quella che è.