“Oh my god, this is gonna be so cool” fu la reazione di Steve Jobs quando Jonathan Ive, celebre designer di
Apple, come racconta nella sua biografia, scelse Groovejet per testare il primo prototipo di iPod a Cupertino
in California. Un brano diventato leggenda (in Inghilterra è stato il singolo più suonato in radio della decade
2000-2010 e il disco in vinile con più copie vendute del millennio) che oggi grazie ad una serie di remix
realizzati da altrettanti fuoriclasse del dancefloor torna, per il ventennale dall’uscita, fruibile via DEFECTED in forma solida e liquida. Abbiamo raggiunto il suo autore per provare ad intercettare il segreto della sua longevità, della sua capacità di portare la propria filosofia musicale in nuovi progetti ed eventi e di affermarsi nel corso di questi anni come top player dei
dancefloor internazionali schivando il rischio d’identificare un’intera carriera in una singola hit.
Cristiano Spiller è sinonimo stesso di festa e potrete testarlo di persona questo sabato a Parma a La Famille la serata nata dalla collaborazione tra WAXMAN BROTHERS e Notturno.PWCC. Vi consigliamo la prevendita qui e vi ricordiamo le 3 cose da non chiedere mai ad un DJ: se ha un microfono per fare gli auguri, se può mettere un pezzo da Youtube, di sparare la sua hit!
Purple Disco Machine & Lorenz Rhode, Riva Starr, Breakbot & Irfane e Harvey Sutherland sono i
prestigiosi nomi che hanno dato un nuovo look a Groovejet in altrettanti remix. È stato più emozionante
per te vedere una dopo l’altra questa parternship che si concretizzavano o la prima uscita del singolo nel
2000 quando ancora non sapevi cosa ne sarebbe scaturito?
Forse più che altro l’uscita della versione strumentale nel 1999, comunque sono emozioni completamente
diverse. Riguardo ai remix la grande gioia è stata soprattutto vedere l’impegno che ognuno di loro ha
riposto in questo progetto, c’è tanto lavoro dietro ognuno, nuovi arrangiamenti, tanti musicisti coinvolti a
registrare nuove parti. Per esperienza quando ti fai fare dei remix sei già molto fortunato se su quattro te
ne esce uno decente, ancor più quando il brano da remixare è un brano già di successo. In questo caso
senza false modestie mi sento di poter dire che tutti i remix sono riuscitissimi.
Come capisci quando è il momento di sganciare Groovejet sul dancefloor durante i tuoi set?
Chi conosce la mia carriera come DJ sa che non sgancio mai Groovejet nei miei set, è diventata addirittura
una “gag” con i miei amici che quando vengono a trovarmi alle serate si mettono sotto consolle
mostrandomi la scritta “METTI GROOVEJET?” sul cellulare, io rispondo sempre “si si, ora la metto” e poi
non la metto mai. Semplicemente dopo un anno che era uscita ero stufo di sentirla e ho smesso di
metterla. C’è stata ovviamente qualche rarissima eccezione e specialmente ora con questi remix la voglia di “sganciare” Groovejet mi è tornata e li metto volentieri, ma non garantisco su quanto durerà. Nasco come DJ prima che produttore e sin dai primi anni di gavetta ho imparato che questo
lavoro è una continua negoziazione tra i miei gusti e quelli del pubblico. Se metto solo quello che voglio
sentire io senza alzare mai la testa non mi reputo un bravo DJ ma ancor meno se metto solo quello che si
aspetta la gente. È un approccio rischioso e a volte si sbaglia, si svuotano le piste, ma quando la leggi bene e
riesci a creare quella connessione lasci un segno che rimane.
Come è cambiato il tuo set in questi vent’anni e seguendo quali influenze?
Credo di averti già un po’ risposto, cerco di divertirmi e di non annoiarmi mai, anche perché altrimenti me
lo si legge subito in faccia, quindi mi piace anche essere eclettico. La domanda più difficile che mi si può
fare è “che genere suoni nei tuoi dj set?”, booooh! Ho avuto una fase più elettronica tra il 2005 e il 2010 e
suonavo spesso ad eventi della nuova e molto fresca scena indie di quel periodo. In realtà i miei DJ set
erano già allora molto eclettici e funky, a volte anche deep, di sicuro ero molto diverso dall’immagine del DJ
electro di quegli anni.
Nel 2011 insieme all’amico DJ Rubini hai fondato l’etichetta DEGUSTIBUS MUSIC che ad oggi vanta 33
uscite in vinile. Tra queste la prima release del ’artista Fango nel 2013, seguita da diversi EP e due album
che lo hanno consolidato nell’astro dei migliori artisti della nuova scena techno internazionale. Come è
nata questa collaborazione?
Con Rubini sin dai primi anni 2000, delusi dalla piega che stava prendendo il clubbing italiano,
fantasticavamo di creare uno spazio con una filosofia simile a quello che è poi stato il Berghain e del
Panorama Bar. Nel 2006 abbiamo fatto le valigie e ci siamo trasferiti in una Berlino incredibile vivendo gli
anni d’oro di quel movimento, che ci ha ispirato a ripartire da zero ed è nato così il progetto Degustibus
Music. Di Nicola (Fango ndr) già producevo un altro progetto e quando è nata Degustibus anche lui ha
sentito la voglia di resettare tutto e ci ha proposto il suo primo pezzo N1 di cui ci siamo subito innamorati.
Era importante usare un alias nuovo, “al liceo avevo fatto una ricerca sul fango e gli amici mi chiamavano
così”, perfetto. Fango ha sposato la filosofia dell’etichetta in maniera radicale e ci ha regalato due album e
tanti singoli senza compromessi. La pandemia ci ha tagliato le gambe, abbiamo faticato a pensare di
pubblicare musica senza le discoteche dove poterla suonare, ma quest’anno torniamo, Fango ha un nuovo
EP potente in uscita prima dell’estate e due nomi illustri hanno remixato un classico di Rubini che uscirà
poco dopo.
Un artista uscito con il suo primo EP quest’anno che avresti voluto aver prodotto con la tua etichetta
Domanda molto specifica! Non mi vengono in mente al momento artisti al loro primo EP quest’anno che mi
abbiano colpito così tanto. Un artista emerso ultimamente che mi piace molto è Demi Riquismo e se invece
ti devo segnalare una uscita recente che avrei prodotto molto volentieri su Degustibus è l’album 3 di Eli
Escobar che ho appena ascoltato.