Si chiama Scenario il nuovo disco di C’MON TIGRE (Intersuoni, Puzzle Puzzle, Believe) ed è un reportage musicale senza confini, tra sacro e profano, tra classico e contemporaneo, tra passato e futuro, strettamente legato al lavoro del fotoreporter Paolo Pellegrin, di cui il duo ha raccolto gli scatti, stampati su carta di alta qualità, per gentile concessione di Magnum Photos, in un libro di oltre 60 pagine (venduto con l’edizione speciale del vinile).
Fondamentale, come nei precedenti lavori, la dimensione collaborativa che fa dei C’mon Tigre un collettivo aperto, più che una semplice band, in grado di produrre musica difficile da rinchiudere in un unico genere ma che sicuramente possiamo definire libera. E così troviamo il tocco di Tommaso Colliva, autore del mix, e il coinvolgimento della cantante e polistrumentista Xenia Rubinos, del rapper Mick Jenkins, di quel genio del sax che è Colin Stetson e dell’artista Son Of Ilio (Enea Luisi) autore dell’artwork di copertina.
Ogni vostra uscita è fortemente legata alle arti visive, per ogni progetto infatti vi avvalete di collaborazioni con fotografi, scrittori, illustratori e artisti. Come è nata la collaborazione con Son of Ilio per la cover di Scenario?
Hai presente la teoria dei 6 gradi di separazione? Ecco, noi ci muoviamo quasi sempre tra i primi 2, cerchiamo collaborazioni con persone che siano collegate con noi attraverso una catena di conoscenze con non più di 2 intermediari. Son of Ilio ci è stato presentato da un’amica intima, abbiamo capito subito che doveva farla lui la cover di Scenario. É roba sua, è il suo mondo, parliamo di raffigurazioni folkloristiche e mitologiche, e lui se ne ciba quotidianamente in tutte le cose che disegna. È stato tutto immediato.
Mantenere lo stesso concept grafico per ogni disco vi dà sicurezza? Lo avete pianificato già dal primo album omonimo o è diventato come un rito strada facendo?
Non abbiamo mai pianificato molto, ne siamo incapaci, anche volendo farlo siamo disastrosi nelle programmazioni. Piuttosto non siamo riusciti a lasciare andare quell’iconografia. E ci abbiamo anche provato, abbiamo lo studio, tana per correttezza, piena di appunti, disegni, idee stampate cercando di trovare copertine migliori di queste. Non le abbiamo trovate.
In Grecia la tigre era legata al culto di Dioniso, Dio dell’estasi mistica. Per voi cosa rappresenta?
É una figura complessa. L’abbiamo scelta per la sua trasversalità, può essere considerata amuleto di protezione, o simbolo di ferocia e distruzione, vita e morte. É un animale a metà fra più mondi.
Gli stati alterati possono aiutare il processo creativo o è un concetto superato?
Decisamente superato, ma sempreverde. Non è nostra abitudine farlo per creare, non è il nostro metodo, parlo come se ne avessimo uno di metodo! É facile che negli stati alterati però nascano delle idee, non sempre interessanti va detto, ma che vale la pena di appuntarsi. Gli stati di alterazione più fruttuosi sono i jet lag da occidente verso oriente, quando non hai ancora preso la misura e ti ritrovi in un perfetto stato di coscienza ma a dover necessariamente dormire, creando una specie di dormiveglia che dura 5/6/7 ore. Ecco, il dormiveglia forzato è lo stato di alterazione più generativo mai provato.
Vi rende più felici ed è più appagante il processo creativo e dare vita a nuovi brani o eseguirli live?
Sono momenti molto diversi. Saremmo in difficoltà se ne mancasse uno dei due. La loro alternanza è fondamentale trattandosi di due momenti in antitesi. Non puoi stare chiuso in studio per mesi, per quanto bello possa essere rimane comunque un momento di immobilità, hai bisogno di altrettanti mesi di viaggi e concerti. Fa parte dello stesso processo creativo. Portare la musica scritta sui palchi significa anche continuare a lavorarci riarrangiandola, gradendola da diverse angolazioni, confrontandoti con diversi musicisti, è tutta crescita. Inevitabilmente le esperienze di palco contaminano le idee per la prossima esperienza in studio. E viceversa.
In questi anni avete suonato in alcuni dei principali club e festival italiani ed europei come Roskilde Festival, Fiesta des Suds, Eurosonic Noorderslag, Les Rendez-vous de l’Erdre, Spring Attitude, JazzMi, Locus Festival. Ci raccontate un aneddoto che ha segnato il vostro percorso?
Di aneddoti ne abbiamo un casino, tutti bellissimi ricordi, nessuno che ha segnato il nostro percorso. E poi come si dice…quello che succede a Las Vegas rimane a Las Vegas.
Su quale palco sognate di esibirvi tra quelli per voi ancora inediti?
Di palchi su cui vorremmo salire ce ne sono un’infinità, ma se vuoi un nome scegliamo la Royal Albert Hall.
Seguo l’opera dei C’mon Tigre da quando a 18 anni un amico mi fece ascoltare “Federation Tunisienne de Football”. Allora il mio commento fu “questo gruppo spacca!” ancora non mi potevo rendere conto di quanto negli anni mi avrebbe formato e ispirato. Quello che mi colpì subito fu l’incredibile concatenarsi di sonorità e culture diverse, l’interazione tra antichi sapori tribali e vibranti reef moderni, questo tipo di ricerca è lo stesso tipo di ricerca che compio nella mia produzione, mixando continuamente culture e mitologie tra loro dandogli (essendo figlio del mio tempo) un gusto differente. Quando sono stato contattato da Flavia per questo lavoro non potevo crederci, ma forse è proprio vero quando si parla della legge di attrazione. La realizzazione dell’artwork si è svolta infatti in maniera quasi automatica, sono stato influenzato, ancora una volta, da idee e reference ricercate nella loro produzione. Ci siamo scambiati opinioni su come procedere, quali tonalità usare, quali corde toccare. L’artwork esprime chiaramente il simbolo madre dei C’mon Tigre, che in questa terza uscita però ha voluto come farsi protettrice di più culture della natura umana, unendo una fisionomia Orientale a texture e colori Afro, passando poi per il Mediterraneo.
Son of Ilio