Non ho il minimo talento musicale, lo stile non so cosa sia e per me il beat è quella roba dei libri anni ’50. Se volete leggere fate pure. Ve l’ho detto.

Mentre tolgo la cintura e tiro fuori dallo zaino la busta trasparente con gli shampini e il dentifricio immagino di litigare col carabiniere che mi controllerà il documento.

“Lavoro o Piacere”

“Piacere, diciamo…Svago…Vado in Vacanza”

“Con chi va?”

“Eh…vado da solo”

“Come da solo, che vacanza è da solo?”

“eh guardi è che dovevo aggregarmi a due amici..ma poi loro non hanno potuto..e allora parto solo…e poi la verità è che io sono solo e non volevo passare il ferragosto a casa da solo…meglio vedere posti nuovi..si pensa meno a quanto si è soli”

“Non si impicchi in hotel, mi raccomando”

“Tranquillo, vado in ostello apposta”

“Non prenda le piattole, allora”.

Nulla di tutto ciò accade, a dir la verità nessuno mi controllerà il documento ne all’andata ne al ritorno, mi rimetto la cintura  e mi dirigo al gate, passando con la mente alla successiva fantasticheria sull’aereo per metà prenotato da una gita di studentesse finlandesi di ritorno da una vacanza studio a Cattolica, pronte a salire sull’aereo dopo un viaggio in pullman con l’aria condizionata rotta.
Anche stavolta nulla di tutto ciò accade, anzi, vedendo la gente imbarcarsi mi accorgo che se fosse Novembre e fosse un volo per Rapallo ci sarebbe comunque più figa. Il mio posto a sedere è tra uno che assomiglia a Klaus Davi e una cinese di venticinque anni con due scarpe marroni e due calze di lana color nocciola che neanche mia nonna nei primi anni di demenza senile si sarebbe mai messa. Non è male, dai, è carina. Bah sì..Son tutte uguali. Sono tutte carine uguali.
Il volo passa veloce tra un Bartezzaghi risolto in scioltezza e delle A Schema Libero tignosissime che mi impegnano più di due ore.

Al Banco Informazioni, dove ritiro una tessera per i mezzi pubblici mi chiedono se è la prima volta che vado a Helsinki, “It’s a little like Venice”.
Rispondo che “I’ve been in Venice a couple of months ago and strangely noone told me it’s a bigger Helsinki”.

Devo piazzare i due biglietti degli amici che non son riusciti a venire, coi soldi guadagnati la prenderò enorme e il gonzo reportage sarà incredibile.

La serata è Sold Out quindi confido che davanti al quartiere industriale troverò qualcuno col cartello “TKTS”, qualche Bagarino, qualche Spacciatore, qualcuno che vende lattine di birra sotto prezzo. Alla gente in coda per il braccialetto potrò chiedere se conoscono qualcuno che cerca i biglietti.

Niente. Nessuno. I cancelli fuori dai concerti senza napoletani sono un non-luogo. Solo qualche senzatetto che raccoglie bottigliette e lattine per guadagnare un po’ sui vuoti a rendere. “Hi girls, Hi guys..do you know someone who’s looking for tickets?”
Mi guardano perplessi per poi rispondermi..”No, if we’re here its ‘cause we already have it”.

C’han ragione anche loro..mi dico..iniziando a temere l’assenza dei garriti delle bandiere sarde.

Dopo i primi quattro gruppi di ragazze in canottiera mi scordo di avere dei biglietti da rivendere ed entro. Nessuna coda per cambiare il braccialetto, nessuno che prova a entrare con delle bottiglie in fondo agli zaini. dentro è tutto asfaltato quindi i miei scarponi si rivelano inutili. Quanta passera.

“A testimoniare la tanta passera, l’ingresso di una passera tanta” – Fonte: Instagram di @katjamarika_80

– “A testimoniare la tanta passera, l’ingresso di una passera tanta” – Fonte: Instagram di @katjamarika_80

I concerti devono ancora iniziare ed io ho una fame micidiale, mi dirigo verso uno dei trenta gazebo che danno da mangiare. Quello con meno fila è il banchetto koreano. Pollo fritto coreano con riso. Ali e coscie di pollo con ossa ossicina e tutto ricoperti da una glassa alla salsa barbeque. Aggiungo su un lato un po’ di Sriracha, un po’ di cocco e mi accingo a prendere le posate per riuscire a…le posate…solo bacchette.

Non essendo giapponese, ne tantomeno Ringo Starr, non ho idea di come si disossi un pollo con le bacchette.
Dopo 15 minuti dal mio ingresso e in attesa di descrivervi il mio outfit, la parte di Style che dovrei rappresentare si è già persa tra le mie untissime dita.

Rifocillato ma arso dalla sriracha, mi metto in fila per la prima birra e torno a guardarmi attorno in attesa dei concerti. Capisco che coi prezzi del bere e i biglietti invenduti il gonzo reportage sarà sobrissimo.
M’accorgo altresì di essere quello che ha riflettuto meno su cosa mettersi addosso.

Sono l’unico italiano ed il peggio vestito.
Abbigliamento dell’inviato: scarponcini da trekking Lowe color Khaki – stagione estiva 2003-2004; Jeans regular fit; t-shirt grigia dei car seat headrest; felpa tecnica rossa con tecnologia “Wind Stopper ®” progettata per fare sci di fondo.
Motivazioni dell’abbigliamento dell’inviato: Non voglio stare 5 ore con i piedi bagnati. Non voglio ritrovarmi a fare la cacca molle in un Sebach (ho passato i ventanni e un mese fa mi son ritrovato a farne un kg in un bar di piazza Castello a Ferrara mentre fuori suonavano i Wilco).

– “Errata Corrige: ero il secondo peggio vestito” – © Flickr/FlowFestival

L’abbigliamento dei locals era piuttosto variabile: dai mocassi agli stivali di gomma gialli; dalle bermuda ai pantaloni di fustagno; dalle camicie aperte ai pellicciotti. Ogni varietà di barbe, baffi, baffetti, cuffie, cuffiette, tele cerate gialle, bourbon, ceroni, cerotti. Zainetti Fjall Räven ovunque. C’è uno col frac rosso e il cilindro. Uno coi brillantini arcobaleno sui baffi. Una con la benda da pirata su un occhio. Una con gli shorts e i calzettoni bianchi dell’adidas tenuti sopra le ginocchia con Jorge Bolano. Credono di essere al centro del mondo, i pingu, ma finché non vedo una bandiera sarda io non ci credo che è un concerto. La bandiera sarda non spunta e io, aspettando l’inizio dei Chvrches, guardo se posso noleggiare un costume da ebreo ortodosso per il giorno dopo.

– “Fjall Raven e Tela Cerata gialla a Helsinki sono le bermuda e camicia fuori del Seven Apples” – © Flickr/FlowFestival 

Alle otto spaccate partono i Chvrches al secondo palco più grande: la Lapin Kulta Red Arena. Dove Lapin Kulta è la terribile birra sponsor, e Red Arena è il rosso enorme tendone da circo.

Lauren Eve Mayberry zompetta ammiccante e sorridente su e giù per il palco mentre il suo socio Jeremy Menez schiaccia i tastoni dietro una console. Il pubblico non è freddo come m’aspettavo. Parlano decisamente troppo ma partecipano e i 50 minuti di gig passano molto veloci e divertenti. Ogni tre pezzi Lauren saluta Helsinki e ogni due si scusa per qualche errore o per la poca voce. Bravi dai. Bella lì.

– “Lauren Eve Mayberry . Il viso di Carey Mulligan e la fisicità di Rita Pavone”  – © Flickr/FlowFestival

Alle nove spaccate attaccano sul palco principale The Last Shadow Puppets. Come ogni band britannica (eccezione per i Pulp) non è questione se piacciano o meno, quanto fino a quanto tu riesca a sopportare la faccia di cazzo del cantante. Qua i cantanti sono due. E facce da culo entrambi. Alex Turner a me sta simpatico. Fa il piacione, il belloccio, è bravo e se lo può permettere. Miles Kane, invece si presenta sul palco con un soprabito giapponese e una canottiera bianca da film di Verdone, se mi sta sul cazzo Liam, figuriamoci il ragazzino che gli fa il verso. Detto questo loro due sul palco ci sanno stare, si alternano, scherzano, si supportano. Le canzoni sono belle, varie nel ritmo e nel mood, le ragazzine nordiche non sembrano cagare più di tanto gli ammiccamenti di Turner, tutti gli uomini invece presenti, per pura passione musicale e già stanchi delle console e dei pulsantoni dei dj, acclamano ad ogni inquadratura le quattro passerone della sezione archi (una viola e tre violini). Altro gran bel concerto, completamente diverso dal precedente e da tutto ciò che vedrò nei due giorni.

– “Voce del verbo Farci Dentro” – © Flickr/FlowFestival

Salto le ultime due dei TLSP per non rimanere troppo lontano dal palco con gli M83. L’ultimo album ascoltato a casa non mi era piaciuto affatto, suoni più commerciali, citazioni della disco francese e californiana anni settanta…non di certo quello che ascolto di solito. Invece durante il concerto mi devo ricredere perché interpretati dal vivo questi i pezzi prendono la forma di un veglione di capodanno dove si balla, si ride, si ammicca, si muove il mento su e giù agli assoli di sax, si urla “Abbona” alla vocalist Kaela Sinclair (si, questo solo io, lo ammetto). Effetti luminosi estremamente pacchiani. Esco dal tendone stanco. Ma carico. Ma stufo.

Me ne fotto di FKA Twigs e vado a spaparanzarmi su dei divanetti davanti a un cinema bar bevendo 8,50€ di Coca e Rum. Sono carico, tre bei concerti mi hanno messo di buon umore…temo che Morrissey mi farà girare il cazzo…dai, entriamo al Rivera Cinema Bar. Un capannone con 40 sdraio e un bar che vende anche i pop corn e una parete su cui proiettano film sottotitolati in inglese. Un filmetto sulla sdraio, due pop corn, per riposarmi e chiudere la fame.

Vedi, è bastato un aereo, una serata e manco più ci stai pensando a…ma che ca…no figa, dio…ma è Vita di Adele?…Madabò?

sullo schermo il faccione/visino dolce pensieroso della Seydoux…che…oh cazzo…ma solo per me è alla mia…la mia niente…a lei…ad ogni modo…mi becco male, fumo tre paglie di fila e mi metto ad aspettare quel vegano testa di minchia. Di tutti i film, di tutte le attrici, di tutti i cristi, in Finlandia. Fanculo va.

Morrissey si presenta impettito e tronfio e attacca con Suedehead. Canta da Dio. Ma proprio che resti a bocca aperta e ti chiedi come faccia a uscire un suono così pulito e toccante dalla bocca di un coglione simile.

– “In difficoltà a trovare produttori per il prossimo album Moz potrebbe chiedere alla Casaleggio Associati” – © Flickr/FlowFestival

Dopo i primi due pezzi strappacuore che mi buttano come previsto in una lucente tristezza Moz inizia a ringraziare il pubblico con dei Gracias. Chissà dove crede di essere? Tra l’altro chissà chi pensa di avere davanti visto l’attuale e coinvolgente setlist che ha scelto per un pubblico di venticinquenni scandinavi.

Fa quella su Pasolini (You have killed me), quella sulla polizia americana che ammazza i neri (Ganglord), quella sulle tavolette ouija per parlare con una che è fortunata ad essersene andata da un pianeta pieno di carnivori, una su Parigi “che siccome Parigi è in Francia la dedichiamo alle vittime degli attacchi terroristici di Nizza e Parigi” (I’m Throwing my arms around Paris), quella sulle tasse che non dobbiamo pagare (World Peace is none of you business), quella contro la tauromachia nei paesi latini (the Bullfighter Dies), quella contro il consumo di carne con video dei macelli anni ’80 (Meat is Murder). A questo punto gli organizzatori gli hanno detto che era tardi e c’era da chiudere quindi Morrissey si è scusato per non aver potuto cantare quella sul reddito di cittadinanza, quella sulle scie chimiche e quella sul signoraggio bancario. Poi ci ha salutato con quella contro la famiglia reale inglese (Irish Blood, English Heart).

In un tripudio di applausi da parte dei presenti e ringraziamenti per averci fatto sentire di schifo mi dirigo verso l’uscita, prima passo dal cinema bar a buttare un occhio…non si sa mai che…esatto…l’Exarchopoulos e la Seydoux se la stanno mangiando con gusto. Primo piano di Mia che viene. Magone assoluto.

Andiamo a paglia va.

–  “In barba a Morrissey il pubblico continua a mangiarsi di tutto”

 

Flow Festival cover image. Photo by Jussi Hellsten.