Quando si arriva al giro di boa dei vent’anni, e in onore alla retorica, i trenta diventano più vicini dei venti, è insito nell’anima umana cercare appigli e piccole validazioni, che sono poi dei non troppo trascurabili modi di sopravvivere: che anche se si esagera con i negroni la sera prima, la mattina dopo saremo belli, in forma, e ci presenteremo in ufficio in orario; che, se chiederlo ai pianeti è utopistico, quantomeno le ambizioni e le direzioni si potranno allineare; che ci saranno alcune canzoni che ora, finalmente, potremo davvero capire. Ecco, quando mi capita di parlare dei Baustelle, che sia al bar con gli amici o scrivendo una mini-guida, credo sia giusto iniziare sempre da qui: i Baustelle sono il sottofondo perfetto per quel periodo in cui i trent’anni sono più vicini dei venti e dei quaranta. Sarà per il loro romanticismo spietato, per la periferia descritta nitida e con sentimento, per l’eleganza chic ma mai posh, per l’urgenza lessicale di alcuni pezzi, o solo perché per ragioni cronologiche l’effetto nostalgia funziona proprio su questa fascia di età.
Ma per raccontare una storia che è iniziata nel 1996, e che è ben lontana dell’esser conclusa, bisogna andare con ordine.
ATTO I – L’eredità, ovvero quello è stato
Nel 1996, a Montepulciano, Francesco Bianconi e Claudio Brasini, chitarristi amici di adolescenza, decidono di fondare un loro gruppo. Ispirati da band come Belle & Sebastian, che proprio in quegli anni iniziavano la loro attività, e Sonic Youth, capiscono di volere una componente femminile a completare il trio. Così, l’anno successivo si unisce a loro Rachele Bastreghi, andando a delineare la formazione originale, che dal 2005 è stabilizzata e che tutt’ora resiste.
Dopo alcune demo ormai introvabili e appannaggio dei collezionisti, e di coloro che furono lesti nel salvare i brani che qualche anno fa vennero pubblicati sulla pagina Facebook del fanclub ufficiale, nel 2000 fu pubblicato, per l’etichetta indipendente Baracca & Burattini, il primo album, Sussidiario illustrato della giovinezza. Il disco irruppe nel panorama musicale svelando qualcosa di inedito, che immediatamente fu ritenuto d’interesse. Un concept album basato sulle difficoltà, i traumi e l’erotismo dell’adolescenza, che contiene in sé alcuni degli elementi che negli anni diventeranno cardine del gruppo. La voce spettrale di Rachele Bastreghi si dispiega libera nell’intramontabile La canzone del parco, che racconta un carnale scambio tra due adolescenti in un parco, e nel finale del pezzo è proprio il parco che prende la parola, constatando la caducità dei sentimenti umani, effimeri per definizione. I racconti disagiati della provincia emergono nitidi ne La canzone del riformatorio, dove due tossicodipendenti si scambiano parole d’amore dolce e di incertezza per il futuro. In Gomma, invece, le due voci complementari di Bianconi e Bastreghi dialogano raccontando di pulsioni sessuali ed eccessi per cercare la felicità. La musica dei Baustelle, già dal primo album, si pone come urgente, sincera, schietta, a metà tra l’elettronica, la new wave, la bossa nova e il cantautorato, raccontando di provincia, morte, salvezza e santità, senza temere di dare un nome alle cose.
Se il secondo album, La moda del lento, parla ancora a una nicchia di esperti e curiosi, per arrangiamenti, temi e liriche (pur contenendo pezzi che diventeranno nel tempo identikit della band, come EN, La canzone di Alain Delon o Reclame), il primo segno di svolta arriva nel 2005, con il passaggio alla Warner e la pubblicazione de La Malavita. Trainato dal singolo La guerra è finita, racconto del suicidio di una giovane ragazza sorretto da giochi di parole (Malgrado Belgrado, America e Bush), con cui il gruppo partecipa al Festivalbar, l’album è un racconto del male di vivere e dell’angoscia esistenziale che parla a tutta una generazione di individui confusi e tutto sommato contenti di esserlo. In brani come Il corvo Joe, la morte, nella metafora di un corvo, narra i suoi premeditati dettami, e diventa un tema sempre più centrale nella loro scrittura, cesellata qui dalla produzione di Fabrizio Massara che inserisce rintocchi funerei. Ma è soprattutto con il brano Un romantico a Milano che la band celebra il primo atto di una storia d’amore con la città che li rende, seppur apolidi, un po’ più radicati.
Amen, quarto album uscito nel 2008, vince una Targa Tengo come album dell’anno, e contiene la celeberrima Charlie fa surf, con cui i Baustelle raggiungono a pieno regime la fama nazionale. Passando per la colonna sonora di Giulia non esce la sera, nelle produzioni seguenti i Baustelle consolidano sempre di più la perfezione negli arrangiamenti, con un uso sapiente degli archi, sempre al servizio del brano, l’inclusione sempre più frequente dell’orchestra, il passaggio dal punk al pianoforte in modo sempre naturale, e l’esser portavoce del disagio, sì, ma soprattutto dei modi per porci fine, siano essi la morte, la trasformazione di sé, la criminalità, o la leggerezza delle canzoni estive. L’eleganza, l’ironia e la compostezza di Francesco Bianconi si affiancano alla sensualità, alla cinetica e alle tinte noir della voce di Rachele Bastreghi, creando un binomio perfettamente funzionante.
Ed è così che, negli anni, sono nati pezzi come Le rane, racconto della perdita delle amicizie liceali, Amanda Lear, inno scanzonato basato sulla ripetizione delle parole tronche, Monumentale, dedicata al cimitero omonimo milanese e secondo atto della storia d’amore di cui sopra, Betty, racconto del senso di vuoto che può giacere sotto l’engagement guadagnato sui social media, passando per Roma live!, disco che contiene una cover di A certain lady of certain age dei Divine Comedy, in cui l’orchestra disegna una sublime linea melodica per archi.
Nel 2018, in seguito alla pubblicazione di L’amore e la violenza vol.2, i Baustelle sentono che la loro forza creativa si è affievolita, e con un concerto alle OGR di Torino in cui suonano integralmente Amen, annunciano uno iato fino a data da destinarsi.
ATTO II – Lo iato, ovvero quello che (non) è stato
Negli anni di pausa, tanto Bianconi quanto Bastreghi si sono avventurati in produzioni soliste. Due i dischi pubblicati dal primo, Forever, album di inediti che si alterna tra reminiscenze di De André ed esplorazioni esotiche, tanto linguistiche quanto nei suoni, e Accade, che include 10 cover, tra cui brani da lui scritti (Bruci la città, La cometa di Halley) e classici (Domani è un altro giorno). Tra queste, spicca la cover di Playa, duettata con Baby K (la canzone preferita di sua figlia), in una veste scura, invernale, notturna, in grado di trasferire l’intensità di un testo che, per quanto estivo, contiene diversi spunti perfettamente in linea con il caduco romanticismo dei Baustelle.
Rachele Bastreghi, invece, ha pubblicato un album, Psychodonna, dal sound sperimentale e in dialogo con il teatro (in Penelope è presente Silvia Calderoni della compagnia MOTUS), e ha realizzato diverse collaborazioni con, tra gli altri, Francesco De Leo ed Effenberg.
ATTO III – Il presente il futuro, ovvero quello che è e quello che sarà
C’è chi dice che certi amori non finiscono, fanno solo dei giri immensi e poi ritornano; chi, invece, che si torna sempre dove si è stati bene; e ancora, chi dice che a un certo punto uno capisce cosa gli conviene e cosa no. A prescindere dall’eziologia, quello che conta è che, nel 2022, i Baustelle hanno annunciato un nuovo album, un nuovo tour nei club (in corso e praticamente tutto sold out) e un tour estivo che toccherà i principali festival italiani, e più in generale la volontà di riprendere dove avevano lasciato nel 2018.
Il primo singolo, Contro il mondo, riparte proprio da lì: un canto di protesta, elegante ma di sfogo, con riferimenti colti e ai bar di provincia, che irrompe come una cassa dritta e conferma che sì, sono proprio loro, e sono tornati per restare.
Elvis, il loro nono album in studio, è uscito il 14 Aprile. Se nella prima metà, ad eccezione di Contro il mondo, le sonorità sono molto pop, e il ricorso a ritornelli facili è un po’ troppo frequente, nella parte conclusiva del disco si concentrano alcuni tra i pezzi più riusciti della loro discografia, frutto di una conquistata maturità. Los Angeles è un brano sul disagio esistenziale costruito su scene decadenti, cardine fin dal primo disco; Gran brianza lapdance asso di cuori stripping club narra la storia d’amore tra un uomo e una spogliarellista di un locale, evidenziandone le contraddizioni, le avvisaglie, le complicazioni, ma anche la purezza in un mondo che di puro ha ben poco; Cuore, pezzo conclusivo, è un racconto in età adulta dei dilemmi avuti in gioventù e dei tentativi di scioglierli, che si conclude con un coup de theatre, un lucido suicidio gettandosi dal quinto piano.
Cover Foto credits @ Marco Cella