“L’amore disperato, l’amore immaginato, l’amore ricambiato”: questi sono alcuni dei temi da cui trae forza You On The Other Hand (YOTOH), primo album del trio palermitano GOØD FALAFEL, formato da Laura Messina, Vincenzo Schillaci e Sergio Schifano. Le loro canzoni hanno una natura romantica che a tratti assume tinte più oscure, e fanno immergere l’ascoltatore in atmosfere sognanti e sfumate che assomigliano a una corsa nel bosco di notte. Nei loro testi ci sono le gestualità e i comportamenti degli innamorati: mani che si stringono, morbidi abbracci, il tempo passato insieme a letto e il sole negli occhi, ma anche abbandono e dipendenza.
Dopo Hide, ecco fuori il secondo video del brano Wrong on you.
E in questa intervista, la cantante Laura Messina racconta il mondo dei GOØD FALAFEL attraverso le emozioni che ne fanno parte e i testi che lo raccontano.
Da dove nasce il nome GOØD FALAFEL? Avete una passione per il Medio Oriente?
In realtà il nome è nato un po’ per gioco dopo aver visto il film del regista australiano Richard Lowestein “He died with a falafel in his hand”, ha una colonna sonora veramente bella!
In questo momento la scena indie/itpop italiana sta vivendo un momento molto fertile e ascoltare qualcosa di diverso da tutto, come il vostro disco, è come respirare aria fresca. Perché avete deciso di cantare in inglese?
Sono cresciuta ascoltando prevalentemente musica di artisti stranieri! Da piccolina, escludendo forse una vecchia cassetta dei Ricchi e Poveri che mia madre ha consumato a forza di ascoltarla e riascoltarla in macchina durante le gite fuori porta, per il resto a casa si ascoltava solo musica americana anni 60. Crescendo poi ho cominciato a conoscere meravigliosi artisti come Battiato o la bravissima Cristina Donà, veri poeti dei nostri giorni, ma non mi è mai venuto il naturale desidero di provare a scrivere nella mia lingua, anche se adoro ascoltarla quando viene usata in musica in modo così speciale.
Come è nato il disco?
In molti brani del disco vi sono piccoli frammenti di tante esperienze vissute con amici fraterni e musicisti meravigliosi che hanno lasciato una loro piccola impronta tra le note di YOTOH; nel corso degli anni, infatti, siamo passati attraverso vari cambiamenti nell’assetto della band, dovuti, com’è naturale che sia, alla vita che cambia e che ti può portare a prendere strade diverse. Possiamo quindi dire che “You On The Other Hand” è nato da un’atipica “famiglia allargata”.
“I’m the only one who can save us from this night” canti in City Lights. Che rapporto avete con la notte?
Come penso la maggior parte dei musicisti, siamo un po’ degli animali notturni; per molti la notte può essere vista come un momento per lasciare andare le inibizioni, protetti dalla sua oscurità. Ma può anche, in un certo senso, spaventare, se la solitudine è la tua sola compagna e nel silenzio l’unica cosa che puoi sentire sono i tuoi pensieri. Questo è un po’ ciò che prova colei di cui si narra in “City Lights”: la paura di restare soli ed essere inghiottiti dalle ombre per poi essere dimenticata per sempre.
“How can we have lost ourselves. We are wrong again” (“Wrong On You”). Si percepisce spesso nel disco un senso di rassegnazione, un sentirsi sbagliati. Dietro a questo ci sono delle vostre personali esperienze o è semplice storytelling?
Il bello di scrivere canzoni è che puoi immedesimarti in qualunque persona o situazione tu voglia. Come dici tu, “Wrong on You” parla proprio di quella sensazione di sentirsi sbagliati, di non essere abbastanza, nonostante tutti gli sforzi che si possono fare, in questo caso per rimettere in piedi un rapporto che ormai trascina con sé solo rancori e rimpianti.
Un altro tema che emerge è quello della dipendenza, della volontà di seguire qualcuno ovunque, anche su un “silky salted lake” o un “desert at night”. Secondo voi l’amore è anche dipendere da qualcuno?
Se dicessi che l’amore non è anche un po’ dipendenza direi una bugia. Non c’è nulla di sbagliato nel contare l’uno sull’altra, nei limiti ovviamente del rispetto e della libertà di ognuno di noi. In “Salted Lake” i due amanti hanno questo rapporto di totale dipendenza l’uno dall’altra e di conseguente estraniazione dalla vita reale, ma non in un senso malato del termine, sono più due anime gemelle che appartengono ad un altro mondo, un mondo tutto loro, sono semplicemente due persone che trovano un senso solo se stanno insieme!
Quali sono le vostre influenze musicali?
Ascoltiamo molta new wave e synth pop anni 80, diciamo che la nostra anima appartiene a quegli anni! Ma apprezziamo molto anche la musica dell’ultimo decennio, la scena psych degli ultimi anni ad esempio ci intriga molto. Ognuno di noi ha comunque i propri gusti e le proprie preferenze che poi cerchiamo di convogliare nel progetto GOØD FALAFEL.
E’ partito il vostro YOTOH Tour da Palermo, cosa vi aspettate da questi live?
Un tour è sempre un’esperienza stimolante; portare la tua musica in giro, macinare chilometri, fare nuove conoscenze, questo è il bello dell’essere musicista.