In un momento storico in cui vengono chiusi porti e cervelli arriva il sincero tentativo di apertura mentale degli Addict Ameba che con Panamor, il loro primo EP manifesto, testimoniano attraverso la musica l’unione profonda tra esseri viventi in un mondo sempre più diviso.
La forza vitale degli Addict Ameba risiede nelle radici eterogenee dei suoi componenti e nella conoscenza delle varie aree musicali legate alla cultura popolare. Il collettivo si compone di dieci musicisti provenienti da esperienze diverse, come quella della band psycho-jazz Al Doum & The Faryds, quella delle club-night Maskenada e Carte Blanche, approdi di suoni nuovi dal mondo nella cornice del BIKO, e ancora avvalendosi di veri tambores latini arrivando fino ad introdurre influenze afro e punk.
A sigillare questo EP d’esordio c’è la firma di Black Sweat Records (Futuro Antico, Ariel Kalma, Maurizio Abate, etc.), etichetta che è marchio di garanzia in chiave di pensiero “laterale” legato a ritmi e suoni contemporanei.
Questo nostro legame con la world music non è un vezzo esotico, né un tentativo di sfruttare l’onda lunga della moda legato all’immaginario “tropicale” e del sud del mondo. Al contrario il nostro è un tentativo di approfondimento e restituzione di realtà prossime ma poco conosciute. La musica è forse l’unica direttrice che unisce i continenti, oltre alle navi cargo, la finanza, gli aeroplani, la rete satellitare
Affascinati e inebriati dal loro pensiero e dalla loro musica abbiamo deciso di andare oltre chiedendo agli Addict Ameba il Gimme Five perfetto per “riunire” la Pangea:
HÖRÖYA – MANSA FELA
Gli Höröya, in malinke “libertà”, ci hanno colpito al primo ascolto con la loro combo di musica africana occidentale e afro-brasiliana. Questo è stato il primo pezzo che abbiamo provato con il nucleo iniziale. “Mansa” è un termine che veniva usato nell’antico impero del Mali, significa “re”; il titolo “Mansa Fela” è un omaggio a Fela Kuti. Mischiando strumenti “standard” a strumenti come sabar, atabaques, djembe, balafon, dundun, cuíca e ngoni, la musica del gruppo HÖRÖYA dialoga costantemente tra culture diverse, senza rompere con l’essenza delle tradizioni.
EBO TAYLOR – ATWER ABROBA
Atwer abroba, per noi Ebo. Pezzo di apertura dei nostri primi concerti, è stato il brano che ci ha definitivamente avvicinati all’afrobeat. Ebo, ghanese, contemporaneo di Fela, in questo brano unisce in stanze separate parti ritmiche, soli, sorvolati dalla sua voce. Anche noi, come Tony Allen (il creatore del genere) lo consideriamo uno dei musicisti più influenti della scena afrobeat degli anni 50/60′. Un padre che ci ha dato il coraggio, seguendolo, di abbozzare i primi ritmi.
ROBERTO TORRES – CABALLO VIEJO
Caballo Viejo di Roberto Torres ci arriva alle orecchie mentre il gruppo si impasta irrimediabilmente con ritmi latini. Melvin e Kevin, percussionista e trombonista salvadoregni, ci hanno dato l’occasione di sporcarci con questi frasi sincopate che ricordano i passi stanchi di un vecchio cavallo. El sabor es la clave.
YUSSEF DAYES x ALFA MIST – LOVE IS THE MESSAGE
Love is the message è un brano che ci è entrato dentro, ritmiche secche e tastiera soave, l’immagine sonora di un connubio amoroso che cresce, esplode, si calma, riesplode. Il new jazz di Yussef Dayes e Alfa Mist ci ha confermato che l’amore non sta mai fermo, gira ovunque, soprattutto ad Abbey Road.
DUKE ELLINGTONE – CARAVAN
Caravan, di Duke Ellington e Juan Tizol, padri americani della musica nera, è uno standard jazz che non ha bisogno di presentazioni. Il doppio tema, potente caotico e melodico allo stesso tempo, ricorda i temi di banda delle prime brass band di New Orleans, suonandolo ci piaceva immaginarci così, una carovana festosa e selvaggia.