Keep On Dancing è un inno alla vita, un invito a non arrendersi quando le cose sembrano non andare per il verso giusto. Ci possono essere tante versioni di noi stessi, non sempre finiamo per scegliere quella giusta per il momento che stiamo vivendo ma non per questo bisogna rinunciare a ricercare la parte migliore di sé. Abbiamo raggiunto Alice Robber che, attraverso il suo singolo che anticipa il debut EP fuori per RADAR label & Management, ci ha accompagnato in viaggio alla scoperta delle sue emozioni più intime.

“Keep on Dancing” è un invito a non arrendersi, a cercare sempre la parte migliore di sé. Qual è stato il processo che ti ha portato alla sua scrittura?

Ho iniziato a scrivere Keep On Dancing a 19 anni e l’ho finita a 23. Tante cose cambiano in 4 anni e sicuramente il rapporto con me stessa è la cosa che è cambiata di più in assoluto. Il titolo originario era “I don’t know who I am anymore”, il che spiega molte cose. Mi sentivo molto persa in quel periodo e non sapevo bene che strada volessi intraprendere, mi lasciavo vivere dalla vita, dalle esperienze che mi capitavano, senza prendere decisioni mie. La cosa che mi ha portato a scrivere questa canzone è stata sicuramente il bisogno di lasciare andare tanti pensieri che avevo in testa e che mi facevano solo del male, sperando che se li avessi messi per iscritto sarebbero in qualche modo andati via dalla mia testa, come se in qualche modo potessi dimenticarmi di me stessa per un attimo. E’ esattamente quello che dico nell’intro: “Don’t wanna write about me, don’t wanna write about you, just wanna lie down and imagine a life without me and I”. Alla fine però ho deciso di trasformare questa canzone in un invito a non arrendersi, a continuare a trovare sempre il lato positivo nelle cose, aggiungendo il ritornello “Keep On Dancing till the sun comes out” e cambiando il titolo in “Keep On Dancing”.

La danza e la musica ti accompagnano sin da giovanissima, quanto è stata importante l’arte nella tua formazione?

Per me è stato un po’ a blessing and a curse. Sicuramente se non fossi cresciuta circondata dall’arte non sarei la persona che sono ora, non avrei tutto questo amore che ho verso la musica. In realtà il mio primo amore è stato la danza, sarei voluta diventare una ballerina, poi per varie vicessitudini smisi. Crescere in una famiglia che lavora nell’arte mi ha fatta sentire sicuramente più compresa e spronata a seguire i miei sogni, dall’altra parte però mi ha fatta crescere con delle insicurezze. A blessing and a curse.

Come ti sei avvicinata allo stile dance pop/disco che caratterizza le tue produzioni?

Sono cresciuta con i dischi di Madonna, Kylie Minogue, Nelly Furtado, Michael Jackson, Tina Turner, ho sempre amato il genere dance pop/disco e l’idea di fare delle canzoni su cui puoi ballarci sopra ma non ho mai avuto il coraggio di farlo prima perché lo ritenevo troppo azzardato. Poi grazie anche ai miei produttori, ho trovato il coraggio di osare e insieme abbiamo lavorato verso questa direzione.

Dopo esserti esibita su alcuni dei palchi più importanti inglesi quali sono state le differenze che hai notato tornata in Italia?

In Inghilterra sono riuscita ad esibirmi con il mio vecchio set, che era molto più intimo, prevalentemente mi esibivo in acustico, sarei molto curiosa di poter fare il set attuale per vederne il risultato. Sicuramente la grande differenza sta nel comprendere più a fondo ciò che dico, In Italia cantare in inglese sembra essere ancora un tabù.

Quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Da piccola ascoltavo tanto Elisa, mi colpì il fatto che cantasse in inglese anche se italiana, pensai “che figo, allora posso farlo anche io”. Anche Mina è stata fondamentale per la mia crescita. Ad oggi ho tanti artisti di riferimento, Lorde, Charli XCX, Dua Lipa, BANKS, Christine and The Queens, The 1975, Mac Miller, Sevdaliza per citarne alcuni.