Nel disco racconti con trasparenza la tua depressione: ne avevi bisogno?
Intorno ai disturbi mentali, anche quelli più comuni come la depressione o l’ansia, c’è ancora un forte stigma. Io trovo, invece, positivo parlarne, in modo onesto e anche vulnerabile, perché dire “io soffro di depressione” ti lascia parecchio scoperta. Dirlo è stato tosto, ma una volta fatto ho come normalizzato la cosa. Spero di essere stata un esempio, pur piccolo, per chi ancora non c’è riuscito.
L’arte aiuta a gestire il dolore?
Quando ho scritto il disco non ero in terapia, non avevo un modo frequente di tirare fuori quello che sentivo, quindi sì, la musica mi ha aiutata a mettermi di fronte al fatto che certe cose c’erano e andavano maneggiate. Però onestamente preferirei di gran lunga non scrivere canzoni e stare bene (ride).
Ti sei esposta politicamente dicendo: “non voglio fascisti ai miei concerti”.
C’è chi ha preso questa cosa alla leggera, ma per me è un concetto importante: vorrei che ai miei live non ci fossero persone razziste, sessiste, fasciste e spero che questa mia esternazione inibisca chi lo è e vuole comunque presenziare.
Quanto è grave secondo te la situazione su quei fronti?
Da una parte sembra che vada meglio, perché se ne parla di più, ma sul piano collettivo, politico e sociale credo vada malissimo. Ma è come se le destre del mondo si stiano spremendo al massimo per evitare l’inevitabile, e cioè che non si può rimanere razzisti o sessisti per sempre. Ho grande fiducia nel futuro.
La politica si riflette secondo te anche nell’arte e nella musica?
Credo che ci sia un appiattimento nel panorama musicale così come in quello politico. Non credo che cultura sociale e politica siano lontane tra loro, e l’impressione che si ha da fuori è che non stia succedendo niente, e quello che succede è a metà tra il povero e il violento. Mi chiedo che ruolo vogliamo avere noi in questo contesto. Vogliamo reagire facendo gli snob e dicendo che i ragazzini non capiscono un cazzo o vogliamo creare un ponte per far vedere che può esserci un’alternativa? Quando vedo un problema, mi viene naturale chiedermi quale possa essere il mio ruolo, quanto sono complice del problema, se posso fornire un’alternativa a quello che sta succedendo.
Puoi vedere Any Other in concerto sabato 15 dicembre all’Arci App Colombofili di Parma, info ed evento qui.
Alleggeriamo: mi riveli il tuo “guilty pleasure” musicale?
La colonna sonora di High School Musical. Sono una grandissima fan del primo e del secondo film, due opere davvero eccezionali di cui so a memoria ogni canzone. E chi condivide il tour bus come me è costretto a sorbirsele dalla prima all’ultima.
Il tuo, di disco, è invece molto ricco di suoni: si sentono moltissimi strumenti, alcuni dei quali non avevi mai suonato prima…
Di base i miei strumenti sono chitarra e sassofono tenore, con cui mi ha dato una mano anche Laura Agnusdei dei Julie’s Haircut ma ho suonato anche il piano, il wurlitzer, il moog, e con questi non avevo familiarità, però è stato molto bello e mi ha aiutato ad aprire i miei orizzonti, dandomi anche degli input per il futuro.
Come si incastrano Adele e Any Other?
È buffo, perché è qualcosa di cui non mi sono resa conto subito, ma è maturata nel corso degli anni. Il fatto è che Any Other, per quanto sia una mia creatura, non è né una band né un progetto puramente solista. Il nome stesso – chiunque altro/nessun altro – mi fa riflettere parecchio. Alla fine mi piace pensare che sia qualcosa che parte da me, ruota intorno a me, ma in definitiva è come a una stanza con la porta aperta in cui le persone possono entrare e uscire a seconda dei bisogni di ognuno. Con educazione
E che consiglio dà Adele ad Any Other?
Rimani aperta. A qualunque possibilità, collaborazione, sperimentazione.