L’EP di debutto di Bais “Apnea” è pronto a toglierti il fiato. Un disco introspettivo e ricercato, dall’eleganza e dal sound avvolgente, cinque tracce che emergono dal profondo del suo mondo mentre la sua immagine si scioglie diventando pura armonia, luci increspate, e sguardo verso il blu.
Un album che ci accompagna alla perdita, alla sfocatura, alla diluizione del tempo e dello spazio: un’esperienza sonora di puro pop immersivo, in cui tuffarsi armati di cuffie. Apnea è atmosfere dream, onirico, evocativo e Bais ci ha raccontato, traccia dopo traccia, il significato dei cinque brani in uscita per Sugar Music.
“Apnea è un disco acquatico da ascoltare con la testa per aria ed i piedi staccati da terra. Apnea è un tuffo dentro di sè alla scoperta di un mondo ancora sconosciuto e troppo spesso dimenticato.
Un’immersione trattenendo il respiro e cercando di andare a fondo, dove i confini tra il reale ed il surreale sfocano, lasciandoci nuotare in un nuovo universo inesplorato.”
“Vudù”
è la canzone che apre l’ep ed è anche la prima ad essere stata prodotta. Si porta dietro un’atmosfera un pò western-psichedelica ed è perfetta come inizio del disco perchè è come se rappresentasse il momento prima di tuffarsi, il pre-apnea. Io l’ho sempre vista un pò tra i Verdena e Pino Daniele 🙂
“Mina”
è il pezzo più blu dell’ep. È un flusso, un mix tra un monologo e un dialogo tra due persone. In questa canzone ho scritto certi pensieri che sono rimasti nella mia testa per tanto tempo senza averli mai detti a qualcuno. La cosa che mi piace di più di questa canzone è l’assolo di sax nel finale, suonato dal giovanissimo Giulio Jesi.
“Alghe”
è un pezzo agrodolce, in bilico tra la leggera amarezza delle strofe e la spesieratezza del sound. È stata la prima canzone nata da una session tra me e Paolo Caruccio (Fractae), il produttore con cui ho prodotto il disco. Le rime di Tatum Rush hanno portato una ventata di colori pastello alla Wes Anderson.
“In Limousine”
ritrae una situazione surreale. Ci si ritrova in due in una limousine, sfatti all’alba dopo una festa, in silenzio a riflettere e a non parlare. È il pezzo più seduto del disco, forse il più malinconico, lo vedo come una culla che ondeggia nell’acqua. Il ritornello mi ricorda un pò la scena finale di Fight Club.
“Dove si va (a finire)”
è il testamento spirituale dell’ep. L’ho scritta quasi tutta di getto in una notte in quarantena dopo aver visto un documentario su Sam Cooke, forse per questo questa vibe un pò soul. È il pezzo che sento più di tutti, parla della cosa che più mi ossessiona da sempre: dove si va a finire quando lasciamo questo mondo. Mi sembrava la canzone perfetta per chiudere il disco.