I loro romanzi, pubblicati dalla casa editrice Autori Riuniti e usciti in libreria lo stesso giorno, anche se sembrano avere ben poche cose in comune, partono dalla medesima necessità di osservare, confrontarsi ed entrare in relazione con l’Altro. Giuseppe Imbrogno e Gianluca Giraudo, rispettivamente autori de Il Perturbante e Quello che non sono mi assomiglia, ci parlano di analogie e differenze, piccoli imprevisti e strade mai considerate.
Cosa raccontano i vostri libri?
Imbrogno: Lorenzo è un analista di dati che utilizza le sue competenze per osservare le vite di persone conosciute e sconosciute. Un giorno incontra per caso Sergio e inizia a dedicarsi a lui in maniera esclusiva e gradualmente ossessiva. Profili social, carte acquisti, pedinamenti, ogni strumento è utilizzato da Lorenzo per “conoscere” meglio Sergio. A prima vista Il Perturbante credo possa facilmente passare per un romanzo “sulla vita ai tempi dei social network”, ma per me è prima di tutto la storia di una relazione tra due individui, del gioco che si instaura tra un soggetto che osserva e un oggetto che è osservato, sui meccanismi di desiderio, imitazione, potere tra l’Io e l’Altro. In questa dinamica si inserisce oggi la tecnologia che amplifica, distorce, “perturba” appunto le nostre relazioni.
Giraudo: Quello che non sono mi assomiglia si interroga sulle relazioni, l’affermazione di sé, il tempo che passa, il rapporto tra città e provincia, su quanto contino le convenzioni e quanto poco i desideri più nascosti e soffocati. Parla di che cosa siamo disposti a fare per sentirci più “noi stessi”, più simili all’immagine che dentro abbiamo di noi. E questo non solo lungo l’arco dell’esistenza, ma anche nelle piccole scelte che compiamo tutti i giorni e che ci costringono perennemente in uno stato di precarietà.
Quali sono le analogie?
Imbrogno: Leggendo il libro di Gianluca, mi è sembrato che anche lui fosse interessato a indagare il tema delle “influenze” che si instaurano tra le persone. Anche nel suo libro vengono narrate le conseguenze che una precisa scelta individuale ha sulle esistenze di altri soggetti.
Giraudo: Credo che a prima vista i nostri libri si assomiglino ben poco. Eppure ne Il Perturbante riconosco un’attenzione per l’Altro, una passione per l’osservazione del mondo, una propensione a cercare fuori da sé risposte che faticano ad arrivare, che hanno ispirato anche il mio libro. Resta il fatto che Giuseppe e io abbiamo fatto “esplodere” questo sentire comune in modo completamente diverso.
Ignacio e Lorenzo, i protagonisti, in cosa si assomigliano?
Imbrogno: Pur nella diversità delle età, delle professioni, dei vissuti, direi che sono due personaggi “in trasformazione” e non a un livello puramente immaginifico o mentale, questo cambiamento ha anche un peso, è anche molto corporea, esperita.
Giraudo: Io credo che si assomiglino nel modo che hanno di relazionarsi con gli altri. Come mantenendo una distanza di sicurezza: in certi momenti anche apparentemente invadendo il campo, ma alla fine sempre salvaguardando la propria “comfort zone”. Il bello è che sia Ignacio che Lorenzo impareranno, nel corso della narrazione, qualcosa di diverso. Per forza o per volontà.
Che scrittori siete? Cosa accende la vostra immaginazione?
Imbrogno: Fatico a dare una risposta che comprenda tutto quello che ho scritto. Penso che le cose migliori nascano dal formarsi nella mia immaginazione di una prima situazione base (un uomo incontra un altro uomo a una festa; fratello e sorella iniziano per gioco a imitare degli animali; etc.). Da questa prima situazione ha avvio la scrittura e a quel punto è lei che ti porta su strade che difficilmente avevi prefigurato, a te sta poi scegliere quella che ti sembra più ricca di promesse.
Giraudo: Mi reputo un buon lettore: serio, esigente, sensibile. Pensandomi da scrittore, invece, mi vedo insicuro, inesperto, uno che trova la forza solo perché la pagina bianca è l’unico posto dove può alzare la voce. Ma mi vedo anche disciplinato, volentoroso, uno che non si ferma finché non raggiunge quello che ha in testa. La mia immaginazione è accesa dagli imprevisti minuscoli che capitano nella vita quotidiana, dalla faccia di una signora in metro, da una macchina che sfreccia sparando una hit napoletana, cose così. E soprattutto è accesa dai libri degli altri che ho amato di più.
Elias Canetti disse: “Uno scrittore che non ha una ferita sempre aperta, per me non è uno scrittore”. Siete d’accordo?
Imbrogno: L’immagine di Canetti mi sembra suggerire quella di un “vuoto” da riempire, insieme a una componente di sofferenza. Non so se mi ci ritrovo al 100%. Per me la scrittura è principalmente uno strumento conoscitivo: di una parte di mondo, della mia relazione con quella parte di mondo, quindi di me stesso.
Giraudo: Sono d’accordo, anche se completerei con quanto detto da Elena Stancanelli durante una sua presentazione. Per poter scrivere, quella “ferita” non deve essere né troppo vicina – fa ancora male – né troppo lontana nel tempo – non la senti più -, ma in una condizione di mezzo. Deve, per poter funzionare come motore, rimanere tiepida.
C’è un personaggio di un libro, di un film o di una serie tv in cui ciascuno di voi si rispecchia?
Imbrogno: Difficile. Alla fine siamo sempre lì a Raskolnikov, no?
Giraudo: Ce ne sono moltissimi. Il primo che mi viene in mente perché da quando l’ho conosciuto mi ossessiona è Amy Elliot Dunne (Rosamund Pike) in Gone Girl di David Fincher. Nella sua infanzia Amy è molto coccolata e viziata: impara a badare alle apparenze. Eppure, l’adulta che diventerà è brillante, autoironica, competente e a tratti cinica. Ha un bisogno disperato di amare e di essere amata: fa il possibile per mostrarsi corretta, seria, fedele. Direi anche buona. Purtroppo ha delle manie di controllo e se offesa, Amy diventa furba, manipolatrice, completamente spietata. Mi affascina, e al tempo stesso inquieta, sentirmi vicino a lei.
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