Ho cominciato a perdere anni presto, molto presto.

I miei coetanei avevano ancora tutti i loro anni, folti, fitti, scuri, densi. Io invece, da che ero come loro, iniziai – ricordo era un sabato mattina – a trovarmeli nel letto, sul cuscino, per terra, davanti allo specchio del lavandino. Erano anni che credevo potessi non perdere mai: sono sempre stato fiero dei miei anni.

Da quel giorno è stata una caduta verticale, inarrestabile, ma non costante: a volte ne perdevo a manciate, altre pareva resistessero, attaccati al mio presente.

 

Vito Ferro comincia il suo libro così, con un racconto bellissimo che dà il titolo all’intera raccolta, dichiarando fin dalla prima riga che ci si trova nel regno della surrealtà, della sospensione, dell’incertezza.

Il lettore, rincuorato dalla convinzione che non si sta parlando di lui, si accomoda, si rilassa. Ma è solo un’illusione iniziale, il gioco di prestigio di un autore capace che, d’un tratto, storia dopo storia, rivela l’inganno: la realtà, in fondo, non è così distante, e quel personaggio, a guardarlo bene, non è tanto diverso da chi legge.

Vito Ferro ha uno stile preciso, una scrittura stupenda, e si muove tra le atmosfere oniriche di Black Mirror e quelle inquietanti di David Lynch, dimostrando – alla maniera dello scrittore Remy de Gourmont – che “La verità è un’illusione e l’illusione è una verità”.

 

La perdita degli anni, edito da Autori Riuniti, è disponibile in tutte le librerie.