Cantautorato I è il disco d’esordio di VIGO, fuori a marzo via Artist First, che raccoglie le produzioni nate in diversi anni ma che si amalgamano alla perfezione identificando la sua cifra stilistica. (Illustrazione di cover @ Miguel Vila)
Cantautorato I nasce unendo canzoni che hai composto in diversi anni. Quando hai capito che era il momento di raccoglierle in un album?
Dal momento che la mia band, i Coquine Market, si sono presi una pausa a causa della partenza di un componente ho deciso di fare un album con i pezzi che avevo in cantiere. Ho pensato sarebbe stata l’occasione buona per fondare il progetto solista che avevo in mente da tempo, una cosa tira l’altra ed eccoci qui.
Quali sono stati gli ascolti che hanno influenzato la tua produzione?
Inutile nascondersi dietro un dito, dico sicuramente che i Baustelle mi hanno dato un bello scossone. E credo sia evidente ascoltando i pezzi. Al contempo, nonostante l’album s’intitoli Cantautorato I, il Cantautorato “storico” Italiano l’ho cominciato ad ascoltare solo dopo aver composto la maggior parte delle canzoni quindi anche se appare un collegamento con il genere è evidentemente casuale, al tempo ascoltavo solo musica estera stereotipando, stupidamente, il testo cantautorale in melensaggini ipocrite che “parlano sempre di amore” che non volevo ascoltare. Non lo so se avevo ragione ma di sicuro sono caduto anche io in questo brutto gioco. Poi se devo dirti degli autori a cui sono enormemente affezionato sono Father John Misty, Elton John e i Radiohead. E infine uno che non cade nella trappola dei testi corrotti, oltre ai Baustelle, è sicuramente Mirkoeilcane.
Il disco è uscito in pieno lockdown con la relativa impossibilità di presentarlo live. Come stai vivendo questo particolare momento?
Beh, non bene, anzi, mi sento beffato dalla natura essendo il mio debut album. Però me ne faccio una ragione. Semplicemente posticiperò la presentazione a quando si potrà tornare a suonare. Sto producendo molto a casa per Cantautorato II che spero di cominciare presto a registrare, questo è un lato positivo. Però la voglia pantagruelica di suonare live resta.
La maggior parte delle tue canzoni sembrano prendere spunto da vissuto reale, cosa ti ha dato lo spunto per Finale?
Lo spunto è dal non voler dare per scontata la continuità di un disco, anzi, volevo proprio che l’album fosse discontinuo, che l’ascoltatore avesse il tempo di pensare. Lo stesso vale per W i Calibro 35, sono degli intermezzi che tentano di dare un’esperienza all’ascolto, non è mai stato mio desiderio mettere tante canzoni messe in fila. Vorrei continuare a proporre, sia nella registrazione che in live, qualcosa che si viva. È per questo che ho avuto bisogno di pensare all’attenzione dell’ascoltatore, sorprenderlo con qualcosa che non si aspetta per afferrarlo e tenerlo all’ascolto, che lo finisca questo stramaledetto album insomma, tutto intero. I musicisti di oggi come me, non lo dicono, ma hanno problemi a tenere l’ascoltatore in linea, bisogna prenderlo subito, e di per questo il commerciale sta diventando una formula ridondante in cui non c’è evoluzione ma una “botta” immediata che vada avanti per tutto il pezzo/album/discografia (con questo non voglio elevarmi a nessuno ma è una formula che conosco benissimo). Secondo me ci sono altri metodi per tenere attivo l’ascolto. Questo è un tentativo.
Vigo è sicuro che “nessun autore dovrebbe capire il proprio lavoro fino in fondo”, noi vi consigliamo di ascoltarlo perché la sua musica merita di essere capita magari partendo dal gustarvi la video première di Finale:
“Il video di “Finale” è nato dalla collaborazione con The Murray’s Night, duo di video-maker e musicisti vicentini che tentano di esporre un altro stile filmico, più astratto e ridicolo, un tentativo onirico ed esteta del video musicale. Di questo piccolo pezzo di pellicola dicono: “un tema tutto precipitato dal ridicolo di una grana a tratti poliziesca. Vigo fa cenno a se stesso tramite l’intuizione della propria stessa presenza, manifestata qui come possibilità di reperirsi all’interno di un altro film”. Una possibilità di ricerca e perdita nello spazio. Vorremmo riuscire a sviare lo spettatore che nel tentativo di inquadrare o classificare Vigo va a perdersi nell’idea caotica che è solo il piacere di produrre. Il “senso” esiste, ma resta intuizione vaga e non definita che appartiene allo spettatore.”