Francesco Lettieri è non a caso l’uomo dietro a Liberato. Libertà, infatti, è un concetto che gli è così caro da diventare l’imperativo categorico del suo lavoro, ma libertà è anche quella di prenderci un po’ per il culo, in questo gioco di veli intorno a chi ancora non si è rivelato, e chissà se mai lo farà. Di certo si diverte, Francesco, classe 1985, nato a Napoli ma trasferitosi da una decina d’anni a Roma, zona Pigneto, che di recente con i suoi videoclip ha fatto un paio di cose davvero notevoli. Come tirare fuori l’ironia da un Tommaso Paradiso, che prima delle immagini amarcord di Completamente era mezzo prigioniero nella sua stessa enfasi, o come regalarci qualcosa di toccante, ma in modo spiccio, schietto e senza fronzoli, com’è Del tempo che passa la felicità di Motta. Per non parlare, ca va sand dire, del “caso Liberato”, di cui ci ha parlato col trasporto di uno che tutto “sto macello” l’ha visto nascere da zero, e concedendoci pure qualche retroscena che ha a che fare con Mi Ami e, sì, anche con il padre di Calcutta.
Francesco, partiamo dalla domanda che tutti ci facciamo quando guardiamo un video: ma a te la canzone deve piacere per forza? E chi la canta pure?
Beh, sì, cerco il più possibile di lavorare con pezzi che mi piacciono e con artisti che stimo, ma non cerco per forza il feeling con l’artista, quanto la garanzia di libertà di poter fare quello che voglio, senza imposizioni. Quando arriva una canzone e insieme il messaggio che dice che il gruppo o il cantante “ha un’idea”, ecco io chiarisco subito che l’idea grazie, ma non m’interessa. Non perché non sia possibile che sia bella, intendiamoci, ma perché per quello che è il mio modo di lavorare voglio il più possibile mantenere un approccio autoriale. Gli spunti sì, li ascolto sempre. Le idee, però, sono mie e questo è fondamentale.
C’è un filo conduttore tra i tuoi lavori?
Sì. Quando ho visto l’ultimo video di Liberato finito, a un certo punto mi sono detto: ma io questo video l’ho già visto. Pensandoci mi sono reso conto che uno dei miei primi cortometraggi, roba di quando avevo 18 anni e già lavoravo con alcuni della mia attuale squadra, aveva una storia simile. C’era un ragazzo che cercava una ragazza a Napoli, c’erano alcune location simili, come gli scogli di Mergellino, c’erano le canne fumate sul lungomare … Insomma, senza farlo apposta mi sono auto plagiato a distanza di 10 anni. Poi credo che il filo conduttore tra i mie lavori sia la mia estetica, tipo certe immagini che si ripetono, come i motorini che impennano, le storie d’amore nostalgiche … Ci sono delle cose che ritornano e che penso facciano parte del mio modo di raccontare.
La nostalgia che cos’è per te?
Sono un nostalgico cronico. Ho sempre avuto questo problema, anche nelle relazioni. Io con la nostalgia in realtà combatto, anche nel quotidiano, cerco di allontanarla, perché nella vita non è per niente utile. Quando si tratta, invece, di scrivere, ecco che allora mi lascio andare e trovo che sia uno spunto, avere lo sguardo nostalgico, per esempio su un’atmosfera o un’epoca.
In quale video è più presente la nostalgia?
In Completamente dei The Giornalisti, che credo sia un lavoro molto ben riuscito esteticamente, ed è proprio un’operazione nostalgia degli anni 80, di questa Ostia ricca di rimandi e di immagini che sono iconiche per la nostra generazione, e per nostra intendo quella dei 30enni di oggi.
E l’ironia, invece?
L’ironia pure fa molto parte di me. Non è, forse, molto presente nei due video di Liberato, mentre in quelli di Calcutta è centrale, penso a Cosa mi manchi a fare e Del Verde, che è uno dei miei preferiti perché riesce a raccontare in maniera molto giusta chi è Calcutta, la sua estetica, la sue relazione con il resto del mondo, ed è tutto vero, non c’è una costruzione, è quasi documentaristico. Lì c’è riuscita una cosa che, pur con pochissimi soldi, è diventata molto bella. Per tornare, invece, ai The Giornalisti, credo che il video di Completamente gli abbia dato un velo di ironia che prima non avevano, perché specie Tommaso era molto serio e romantico, e che gli ha dato un bel valore aggiunto.
Hai citato i video di Liberato, e qui si apre un mondo, ma la prima cosa che vorrei chiederti è come ti spieghi il successo che hanno avuto altrove rispetto a Napoli, conquistando il nord Italia.
In realtà la musica napoletana è sempre stata, non negli ultimi 20 anni ma in passato sì, quella che ha girato di più il mondo. Penso a grandi classici come ‘O Sole mio, conosciuto ovunque. Ma anche lo stesso Gigi D’Alessio è fortissimo al Nord, ma non tra i napoletani migrati, ma tra persone di alcune fasce sociali che lo amano per svariati motivi, primo tra tutti perché racconta cose in modo diretto, in una lingua molto musicale che è il napoletano. Non che voglia accostare ‘O Sole mio, Gigi D’Alessio e Liberato, ma è per dire che su vari livelli la musica napoletana, penso anche a Pino Daniele e alle sue collaborazioni internazionali, ha sempre attirato attenzione e amore, perché ha grande fascino. Liberato in tutto ciò è particolarmente interessante perché va a prendere un pubblico di addetti ai lavori, intendo della moda, della musica e del cinema, e insieme va a prendere pure il pubblico di Gigi D’Alessio. Il video di Liberato è sulla bacheca dei miei amici di Napoli così come su quello del direttore dell’agenzia pubblicitaria di Milano. Questa è una cosa abbastanza pazzesca e assurda e divertente.
Immagino vi stiate divertendo molto.
Si (ride)
Ed è stato difficile insegnare il napoletano a Calcutta?
In realtà non tantissimo, perché lui ha il padre che pur non essendo di Napoli canta in napoletano perfettamente. E cantare in napoletano, ti assicuro, se non si è “madrelingua” è impossibile. Una delle pochissime nella musica italiana, oltre al padre di Calcutta, è stata Mia Martini con Cu ‘Mme.
Da quanto stavate progettando questa esibizione del Mi Ami?
Mesi. Il padre di Calcutta gli ha fatto un corso di circa 2 mesi, perché quando abbiamo girato Del Verde a Cortina già stavamo parlando del Mi Ami; è stato lì che Edoardo ha iniziato a dire che amava Liberato e voleva sapere chi fosse, al che gli ho detto: te lo dico solo se lo canti al Mi Ami. Lui ha detto subito di sì e, anzi, ha preso la cosa molto molto seriamente, molto più di quanto pensassi.
L’hanno presa sul serio in tanti: alcuni ragazzi saliti da Napoli hanno chiesto il rimborso del biglietto…
Già sapevamo che sarebbe andata così, e va bene. Poi, insomma, ci abbiamo provato a portare dei napoletani sul palco per quel concerto, ma non ci siamo riusciti, quindi abbiamo messo insieme uno di Latina che è Edoardo, Priestess che è pugliese, IZI che è genovese… E la cosa straordinaria è che nessuno ha spifferato. Pensa che ho incontrato poco prima di Mi Ami il suo chitarrista che mi ha chiesto “ma quindi a Mi Ami Liberato si farà vedere?” e io lo guardavo e dentro di me pensavo: ma Edoardo non gliel’ha detto veramente? Comunque sentire i napoletani lamentarsi che il primo live sia stato a Milano mi fa sorridere, perché il messaggio di Liberato è che sì, siamo di Napoli, ma siamo cittadini del mondo e anche la sua musica ha suoni che escono da Napoli. Uno dei problemi veri della musica napoletana, e qui in molti storceranno il naso, degli ultimi anni è proprio che si è chiusa su se stessa e in se stessa e noi, invece, ci siamo voluti aprire. Io sono napoletano ma mi sento italiano: se succedono cose belle a Bari o a Udine io sono contento. Io amo, per dire, Ghali e mica penso “peccato che sia milanese”, perché è un prodotto di quel mondo lì, di quella periferia milanese, ed è super interessante che accada anche in Italia questa cosa di mescolanza di suoni italiani con suoni magrebini. Bellissimo.
Oltre a Ghali altri chi vorresti ti chiamasse per un video?
Ecco, ora se faccio dei nomi chi a questi gli fa i video, e li conosco tutti, mi odierà, ma sì, mi piace Ghali, ma soprattutto amo i progetti piccoli, come quello di Liberato che è partito da zero, che quando ci sono entrato non esisteva neppure, non c’era proprio. Con lui siamo riusciti a costruire una cosa dal nulla, mentre se dovessi fare, oggi, un video a Ghali sarebbe figo ma dovrei adattarmi a quella che è la sua estetica, molto definita. Poi mi piacciono I Cani, Cosmo, Iosonouncane, che non fa video ma magari per il prossimo disco cambierà idea. In ogni caso ora il mio sguardo è proiettato più che ai video al cinema, che rimane il mio vero sogno.
E c’è qualcosa che ci puoi anticipare, riguardo a ciò che si muove su questo fronte?
Che ci sto lavorando. Al momento è ancora tutto molto all’inizio, la strada è molto lunga, ma posso dire che con questa cosa di Liberato s’è mosso qualcosa. O meglio qualcuno, che è venuto addirittura a chiedermi se avevo un film in mente, ed è una cosa straordinaria che non mi aspettavo minimamente facendo videoclip. Sai, immaginavo che sarebbe arrivato il momento in cui io sarei andato con la mia idea da un produttore, che mi avrebbe risposto “si, vabbè, ma tu sei un videoclipparo, non puoi fare film”. E invece ora stanno un po’ cambiando le cose, e i produttori, quelli un po’ più svegli almeno, si vanno a vedere anche le cose legate al mondo della musica e degli spot.
Anche per un film ti potresti dietro la tua solida squadra di lavoro?
Sì, perché la squadra è la forza dei miei video, anzi dei nostri video. Io lavoro con una troupe, ho sempre un approccio cinematografico, al punto che che a volte per un video ci sono al lavoro anche 20 persone, cosa che nel mondo indipendente non succede quasi mai. Anzi, spesso vengono fatti in versione videomaker, mentre io ho scelto di mantenere questa impostazione, anche a discapito, sinceramente, del portafoglio, perché puoi immaginare che cosa vuol dire dividere per 20 una paga da regista indipendente. Ma va bene così: se guardi negli ultimi 2 video di Liberato la fotografia è di Gianluca Palma, con cui vivo, i costumi di Antonella Mignogna che è una delle più brave in questo momento, l’operatore è Salvatore Landi l’aiuto regia è Francesco Coppola, tutte persone cresciute con me, tutte persone presenti nei miei uliti 20 video.
Il tuo video culto?
In questo momento Acid Rain di Lorn.
E le serie tv che ami?
Le cose più belle che ho visto negli ultimi 3-4 anni sono proprio delle serie. La prima è The Jinx, di HBO, che una docu-fiction in cui un caso molto famoso negli USA viene ricostruito, ma parallelamente viene anche indagato dal regista, che ha come protagonista il sospettato. Pazzesco, perché c’è potenza visiva, c’è racconto, tutto insomma. Poi due serie di animazione: BoJack Horseman e Rick and Morty.con un livello di comicità feroce e intelligenza di scrittura altissimo. Infine cito Louie, fondamentale per me perché mette insieme elementi della commedia a elementi di umanità e verità. Capolavoro. Ecco, questi sono i modelli a ci aspiro e che mai riuscirò a raggiungere nella vita (ride).