Francesco Tricarico aveva molta voglia di far uscire il suo nuovo album Da chi non te lo aspetti. Quasi una smania, la sua, legata all’urgenza di fa sapere, a chi lo segue che cosa pensa, sente e vive, in un momento che è stato difficile ma che ora lo vede aprire le braccia alla voglia di essere felice. Così, in un’altalena di sentimenti che dalla forza dei sogni arriva a toccare anche la paura e il suo non essere «dominabile, ma addomesticabile sì», ecco che cosa ci ha raccontato uno dei più intelligenti e genuini cantautori italiani.
Partiamo dal titolo: Da chi non te lo aspetti si riferisce a belle o brutte sorprese?
Nasce da un’accezione negativa, ma poi il tentativo è quello di ribaltare tutto e dare positività al fatto di ricevere cose inaspettate e non per forza gradite.
Qual è, quindi, la chiave per riuscire in questa operazione di ribaltamento?
Farlo. Ribaltare. Pensare che tutto quello che accade è un dono. Riuscire a non giudicare nulla come “bello” o “brutto” ma far prevalere la nostra interpretazione, come già diceva e consigliava di fare un certo Shakespeare. Il senso è che bisogna tornare a essere più magici, per vivere una vita felice e far accadere cose straordinarie.
La vedi da sempre così o è un pensiero nuovo, recente?
Più che pensarlo, lo vedo da sempre. Ho sempre osservato che tutto poteva essere ribaltato, che, per esempio, l’altra faccia dell’amore è l’assenza, che una grande felicità porta, a volte, a un grande dolore, grandi fatiche e poi grandi soddisfazioni … L’imprevisto, l’inaspettato mi affascina da sempre.
Di quali altri sentimenti e pensieri è figlio questo disco?
Prima di tutto è figlio della voglia che uscisse. Della voglia di ripartenza, di un nuovo inizio. Ecco, alla base c’è questo credo inconscio di voglia di vivere.
C’è anche, nei brani, un allontanamento della paura …
Sì, io penso che la paura non si possa sconfiggere, quindi non ho problemi a dire che io ho paura. Temo molto, invece, quelli che dicono il contrario. Penso, però, che sia un mezzo straordinario, se governato e questo è possibile riuscire a farlo. La paura è la porta della conoscenza, se la addomestichi.
Che cosa ti fa paura?
Molti, oggi, hanno paura della solitudine, io al contrario avevo paura della gente. La solitudine, al contrario, per me è fantasia, risorsa, infinito, immaginazione. Gli altri mi fanno un po’ paura quando creano quell’apparente apertura che è tipica dei social. “Guarda, ti faccio vedere casa mia, ti faccio vedere pure i miei figli” come se ti avessero invitato a entrare, ma poi se bussi per davvero a quello porta, loro la chiudono a chiave e ti dicono “Ma tu chi sei?”. Tutto questo è deformante, quasi folle e non ha senso. E sì, è una finzione che mi spaventa, anche se i social li uso quasi ogni giorno.
Nel pezzo Paradiso parli di relazioni amorose e dici «che la vita tua sia solo tua e la vita mia sia solo mia»: che tipo di volontà esprime quel verso?
La mezza mela che si unisce secondo me è meglio che non si unisca. Era un pensiero sull’amore, dove ognuno sia capace di conservare la propria autonomia e completezza, la capacità, insomma, di stare saldi sulle proprie gambe e rifiutare l’immagine dell’altro come bastone della vecchiaia.
Che affinità avete, invece, tu e Arisa che duetta, magnificamente, con te nel brano Una cantante di musica leggera?
Di Arisa mi piace tanto la sua intelligenza, la sua capacità di recitare, il suo coraggio e la sua capacità di rischiare, che si sappia mettere in gioco. Lei è una che si espone, che sa vincere la paura portandosela sottobraccio. La ritengo un’artista capace di comunicare emozioni e trasmetterle in modo semplice, con la volontà di farsi capire.
Partirai per un tour (anche se non sono ancora uscite le date): com’è cambiato il modo di vivere i live rispetto agli esordi?
I concerti sono sempre come incontri di boxe, primo perché non puoi scappare, poi perché puoi divertirti, governando, di nuovo, la paura. Il palco è magia, per me, è il luogo della comunicazione e più passa il tempo e più diventa la dimensione della libertà, dello stupore e della meraviglia. Suonare, per me, diventa sempre più bello.