Come si fa ad essere raffinate ma anche divertenti e portatrici sane di una musica che pesca da tutti i suoni del mondo senza risultare noiosa? Si fa come fa la francese Jain, che ha reso un brano con profonde radici africane come Makeba un’opera pop, perfetta per accompagnare lo spot di un brand come Levi’s. Oggi, a tre anni dall’album Zanaka che conteneva anche un’altra hit globale come Come, la 26enne più promettente della scena alternative-pop europea, pubblica il suo secondo lavoro, Souldier (Sony). Un titolo, mi spiega al telefono da Parigi, “ispirato dalla strage di Orlando del 2016, un fatto atroce, che va contro tutto ciò in cui credo, e cioè che dovremmo tutti essere mossi dall’amore, dalla compassione e dall’empatia verso il prossimo”.
Il primo video del nuovo album Alright mostra giovani donne che fanno cose toste, dal parkour allo skate: qual è il messaggio?
Un messaggio prima di tutto di sorellanza, perché sono stufa di vedere ragazze che si fanno battaglia tra loro, anche solo sui social. Poi volevo fare qualcosa che a livello visivo, oltre che con il testo del pezzo, facesse capire che non esistono limiti di alcun tipo per noi donne. Dobbiamo iniziare a immaginarci ai nastri di partenza, in qualunque settore, esattamente alla pari degli uomini.
Pensi che per le prossime generazioni sarà possibile queste uguaglianza?
Certo, sono ottimista, le cose stanno cambiando molto rapidamente e in meglio. Ci sono, è vero, delle battute d’arresto che fanno temere il peggio, ma sono certa che la direzione sia quella della parità di genere, qualunque sia il genere.
Tornando al video che hai lanciato: gli sport estremi sono una tua passione?
Sì, tantissimo, sono una skater, amo surfare e fare guida sportiva. Mi piacciono anche da spettatrice, credo che potrei stare le ore a guardare gente che fa skate o parkour, e poi questo tipo di sport sono un’ottima scusa per viaggiare, sai tipo quando dici che sei andato in Australia perché c’erano le onde perfette…
Beh, anche la musica è un’ottima scusa.
Ahah, sì, però quando suoni non hai così tanto tempo per goderti un posto. Capita giusto quando ti cancellano un volo e rimani bloccata in una città, sennò è tutto una corsa da un live all’altro. Non che mi stia lamentando, sia chiaro.
Chiaro. Parlando di live, i tuoi (Jain sarà in Italia l’8 dicembre al Fabrique di Milano ndr.) sono un’esplosione di energia, con tanto di stage diving e balli scatenati: chi sono i performer che ti hanno più ispirata?
Quando ero teenager guardavo con immensa ammirazione gli show di pop star come Madonna e Michael Jackson, e, anche se la cultura americana non mi appartiene e non mi rispecchia, amo quel modo di fare show senza freni, come dicevamo prima. Per questa ragione anche io, nel mio piccolo, ho voluto replicare sul palco uno spettacolo completo, non da songwriter intimista, ma da perfomer, perché penso che un concerto debba essere un’esperienza il più potente e coinvolgente possibile.
Quale consiglio daresti a una cantautrice alle prime armi?
Di cercare di voler far star bene le persone con la propria musica e di, com’è successo anche a me, non dare troppo ascolto ai genitori, che non sempre appoggiano questo tipo di scelta e vanno in paranoia (ride). E poi di lavorare, ma non troppo.
In che senso “non troppo”?
Lavorare nell’industria musicale può portarti a entrare in un meccanismo per cui non riesci più a dire di no, e quindi fai date su date, poi promozione, poi giri il video, poi l’intervista e così via, in un vortice che ti fa perdere il senno e il senso delle cose. Non dimentichiamoci che la tragica vicenda di Avicii (dj e produttore morto suicida a soli 29 anni ndr.) è figlia anche di questa dipendenza dal lavoro, che ti distrugge. Bisogna sapere quando fermarsi, perché il rischio è troppo grande.
Un’ultima curiosità: se potessi intervistare chiunque nel mondo, chi sceglieresti?
Beyoncé. Avrei davvero molte, moltissime cose da chiederle!