L’idea di portavi in viaggio con gli Smile ci è venuta guardando Michele Sarda, cantante della band, camminare per le strade di una Torino presenza/assenza fantasma nel videoclip di Broken Kid, ultimo estratto dall’album di debutto the name of this band is Smile. “La nostra musica”, ci raccontano, “è molto ispirata a Torino, a come viviamo la città in un momento molto particolare della sua esistenza. Come se fosse lo scenario perfetto per una generazione, la nostra, cui il presente sta sfuggendo dalle mani. Abbiamo tutti più o meno trentacinque anni, abbiamo lavori precari o malpagati, alienanti per cui la musica rappresenta un giusto bacino di sfogo.” Per questo pur avendo come centro la melodia, la band suona in modo nervoso e secco. Ed è anche per questo che la loro musica parla di Torino, il luogo di questo viaggio per B&S, ma anche di tutte le altre ghost-town post-industriali del mondo in cui si sono mosse molte delle loro band preferite come Manchester e Detroit. “Non è importata essere nel 2021, nel 1984 o nel 1969. Conta la sensazione di abbandono e di sconfitta che permea la sensibilità post-punk che ci mette, senza nasconderci, in un solco preciso.”

Il 21 giugno, torneranno a suonare dal vivo, e, manco a dirlo, nella loro città al Hiroshima Mon Amour.

Smile – Broken Kid
i fantasmi post-industriali e le incertezze di quando sei giovane

Se nel video che abbiamo girato il cantante degli Smile si muove negli spazi solitari di una Torino trasfigurata, che ci ha fatto pensare alla Londra di Jubilee di Derek Jarman o la New York di Permanent Vacation di Jim Jarmusch, è perché la canzone racconta del senso di spavento, spaesamento e incertezza di una persona che non si riconosce nel mondo che gli è stato promesso e che sta vedendo formarsi davanti ai suoi occhi. Come se la solitudine fosse più un riparo che non una condizione da cui uscire. Un antidoto. La Torino che viviamo, dopo il collasso delle promesse della Terza Via, è permeata di questo senso di solitudine e rassegnazione.

Smile – How The Race is Done
lungo le strade ‘non ufficiali’ in cui, comunque vada, ci si prova

Ci piace la dimensione ‘qualunque’ di Torino. Abbiamo evitato di raccontare i luoghi conosciuti della città. Niente Murazzi, niente Centro Storico, niente Docks Dora e niente area di stockaggio al Parco Dora. Perché è ai margini di questi posti – ormai immaginario collettivo e al tempo stesso immaginari – che provano a succedere le cose. Accanto all’area di stockaggio, ad esempio, che viene così bene in foto, c’è un’enorme costruzione anni Settanta che è stata costruita in modo incomprensibile lontano da tutto. Doveva essere un centro direzionale, oggi è solo una cosa più vicina all’eco-mostro. C’è una redazione di un giornale sportivo, c’è una palestra aperta 24/24, c’è una mensa che serve cibo scadente (e mangiare male a Torino è molto difficile: devi volerlo fare) e c’è, nelle sue viscere, un garage che tante band hanno allestito a sala prova. Lì sono nati gli Smile. Come per noi, vale per decine di altre ragazze e ragazzi che vanno ai margini del discorso ufficiale della città per provare a costruire il proprio antidoto al futuro. Non importa se con una chitarra o con un beatmaker. Conta che si continui a fare, a provare, a riprendere quel filo slacciato.

Smile – Every New Mistake
nei quartieri in cui non succede mai niente

Come ogni città che prova ad esserlo, Torino ha i suoi quartieri vivi e i suoi quartieri morti. Accanto a questi, inoltre, ci sono i quartieri in cui non succede mai niente. Una lunghissima distesa di palazzi, supermercati, centri commerciali, dove non si va se non per dormire. Senza personalità, senza tensione, senza nessun obiettivo se non quello di rintanarsi dal mondo. La conformazione urbanistica della città, poi, con la sua pianta rettangolare, favorisce la possibilità di sparire completamente. Nel video che abbiamo tratto da questa canzone (la prima che abbiamo scritto come Smile, da un’idea che il chitarrista aveva sviluppato in precedenza provando a unire un tiro punk agli arpeggi à la Byrds), si vedono le case di uno di questi quartieri in cui non succede mai niente. Le persone che le abitano, per colpa della pandemia, si sono trovati in questi spazi impersonali, tutti uguali, con persone che si sono ricordati di non conoscere. Soli. Costretti. Lì dove non succede mai niente.

Smile – Time To Run
il video che non abbiamo mai fatto lungo le strade di un giorno qualunque

Questa canzone è nata in quaranta minuti circa. Il bassista ha iniziato a suonare il riff. Il chitarrista ha suonato l’arpeggio di accompagnamento, il batterista ha pestato il tempo secco e preciso (pure lo stop & go è venuto naturale). Il cantante ha iniziato a ripetere “it’s time to run” come un osssesso. Una settimana dopo l’abbiamo suonata dal vivo. Poi il lockdown. Volevamo raccontare la contraddizione tra lo spirito della canzone e il presente che ci si è parato davanti con un video dove montavamo quattro passeggiate amatoriali per la città deserta. Ai tempi vivevamo in quattro quartieri diversi. Quattro squarci sulle quattro solitudini di quattro quartieri inspiegabilmente vuoti, confermando la dimensione spettrale fuori dalla finzione di una vita notturna più legata alla consuetudine che non all’esigenza. Un video che non abbiamo mai fatto, anche lui uno spettro.

Smile – From Here On
le strade in cui siamo cresciuti insieme

Qualche anno fa leggevamo un libro, ‘Futurabilità’ di Franco Bifo Berardi, in cui analizzando le derive del realismo capitalista e il collasso della società, vedeva nell’amicizia e nella comunità il valore positivo per creare le condizioni umane per uscirne. O almeno provarci. C’è molto della riflessione attorno al contemporaneo nella nostra musica. Quello che ci ispira non è solo una musica che diventa gesto politico, ma anche saggi e romanzi che attorno allo “stato delle cose” provano a costruire delle strategie di reazione. O per lo meno di consapevolezza. Anche qui ci piace molto la dimensione in cui le persone tornano a incontrarsi, a riconoscersi dopo mesi passati chiusi in casa e dopo anni in cui ci siamo via via deumanizzati nei nostri loculi lavorativi. Le metafore che abbiamo visto al cinema sono sempre valide. Solo non ci sono più i nostri genitori o i nostri fratelli maggiori: ci siamo noi. ‘From Here On’, l’ultima canzone del disco, parla anche di questo. Non è importante che si tratti di amore o affetto semplice, è importante che ogni spinta al futuro passi da un tentativo comunitario. E non è un caso che sia anche l’unica canzone del disco cantata – per un tratto – a due voci.