C’è musica fatta per viaggiare, ci sono viaggi fatti con la musica e poi c’è il nostro nuova format in cui una band ci racconta un viaggio passando per le canzoni che ne sono state la soundtrack.
Low Rising – The Swell Season
L’ANDATA
Partire, non sapere bene perché, da dove è nata l’idea, l’idea che diventa presto viaggio andata e ritorno per Parigi: caricare una Clio straborda di strumenti, oggetti e vegetazione animalesca, c’è il Tasso che guida, Emile con una valigia, il Tosino in fermento, Leo che già vaneggia alla prima sosta, c’è forse qualcun altro di fantasmatico nel bagagliaio, Lollo è già a Parigi, e ci sta aspettando. L’inizio è notturno e torbido di sonno, lo sviluppo mattutino una specie di sogno, varcare le Alpi perdendo di vista il pomeriggio. Poi è la sera, c’è un lungo viale che conduce alla capitale, c’è anche un assembramento di auto da far venire voglia di tornare indietro, ma Lollo ci sta aspettando, anzi è lì all’incrocio tra un Boulevard illuminato e un angolo buio in cui ci si ritira per dedicarsi al whisky.
IL PROCESSO
Così, dopo aver invaso l’appartamento di Caterina e il sosia di Gianferrari per la notte, ci si trasporta il giorno dopo a Belleville, è una bella giornata di sole, è dicembre, un caffè fuori da un bistrot, le chitarre già in braccio, il panorama è splendido e perfetto per l’appostamento: l’angolo in fiore.
Così è facile radunarsi per uno sguardo alla lontananza col perfetto orizzonte di una canzone in sottofondo. Ma dopo ore di sorrisi è facile ricordarsi che è dicembre, se non altro guardando le nocche delle mani e le dita insanguinate per il freddo e gelate per le corde. Così è quasi naturale che due ragazze francesi domandino se per caso abbiamo voglia di raggiungerle nel loro locale proprio dietro l’angolo. Certamente. Non si poteva certo rifiutare.
Petite Fleur – Sidney Bechet
IL BAR BOUQUIN
Una stanza in un angolo, ai piedi di Belleville, in una via stretta con in fondo un viale alberato. Il profumo del pomeriggio che si fa sera. Il thè e le torte appena fatte. Senza accorgercene iniziamo a suonare, al nostro tavolo, gli sguardi attenti e conviviali, un poeta che scrive, il tintinnio dei bicchieri, e suonare per ore, fino a che proprio non hai finito. E dunque dedicarsi a approfondire gli incontri, innamorarsi e concludere la notte con una data per il giorno successivo, in un altro angolo di Parigi dalle parti del 14esimo arrondisment, e tornare al proprio appartamento, diciamo proprio perchè ormai l’invasione aveva cominciato a dilagare, per una festa in cui ancora oggi non ricordiamo che cosa esattamente si festeggiasse.
Cumbia de Donde – Calexico
BRUCE ATAI
Bruce Atai e il suo alimentarì, che non era un alimentari, bensi un gradevole ristorante, con i sotterranei adibiti a club con sala concerti, ma noi ancora di sopra, tra i tavoli e altri innumerevoli incontri, accompagnati da una serie intramontabile di Negroni, ad offuscare la memoria che si perde nel saluto finale dell’ennesimo innamoramento che si spezza, e la valigia di Emile era in realtà un amplificatore per il basso.
666 – Bon Iver
IL RITORNO
La malinconia, il grigiore dell’autostrada mentre saluti Parigi, parlare, parlarne, perdere il biglietto del pedaggio e aver timore della multa, fermarsi davanti al monumento della memoria, che in realtà sembra una rappresentazione dell’inconscio, fumare una sigaretta, meditare sul fatto che forse le ragioni dei caduti alla guerra fossero ragioni inconsce, rinunciare subito a questi pensieri, prima che possa essere troppo tardi, tornare in macchina. Tornare a casa.
Ma prima, il Frejus, forse era il Monte Bianco, di sicuro era una tempesta di neve con le file di camion deserti ai bordi della strada, se non in mezzo. Gli sguardi sbarrati, il silenzio della paura, rassicuranti battute ogni tanto, prima di deglutire, di nuovo. Infine riuscire, non si sa ancora come, a tornare, tra un Bob Corn ai venti km orari e un po’ di fortuna.