Marc Augè parlava di “non luoghi” come quegli spazi che erano luoghi fisici, ma allo stesso tempo dei posti tanto trafficati di persone da non poter essere definiti come dei veri e propri luoghi.
Il nostro non luogo, o meglio, quello che i Tersø hanno scelto di raccontarci, è un autobus, per essere precisi, un Flixbus da Berlino ad Amsterdam. Di per sé, le due capitali dell’Europa del nord racchiudono un mood e con esso un modello musicale che viene emblematicamente rappresentato dall’elettronica. Non può dunque non essere il filo rosso che tiene stretti i Tersø, band che nasce a Bologna, alle contaminazioni di scritture e ricerche sonore di stampo internazionale.
Nell’ultimo singolo Aurelia, non a caso, ritorna il motivo del viaggio, del tempo che scorre e di quanto certi ricordi possano essere così vividi da non decomporsi mai, come plastica abbandonata in fondo al mare. Partendo proprio dall’Italia, abbiamo chiesto al duo di raccontarci uno dei viaggi che ricordano in modo più tangibile, usando però non solo parole, ma anche una track list di quei brani che li hanno accompagnati in questa dipartita tra i canali e i mulini a vento.
Ultimo giorno a Berlino, agosto 2019. Sono circa le 23 quando rientriamo nel nostro albergo, ritiriamo i bagagli e ce ne andiamo. Ad Alexander Platz ci aspetta un flixbus a due piani che per le prossime, lunghe, dodici ore sarà la nostra casa. Domani mattina saremo ad Amsterdam. Arriviamo di corsa ma alla fine anche leggermente in anticipo rispetto alla partenza, giusto il tempo di una sigaretta. C’è pochissima gente: oltre a noi una piccola compagnia di due ragazzi e una ragazza + un tipo solitario.
Pochi istanti prima della partenza arrivano tre ragazzini molto agitati e sudati, mostrano il loro biglietto ai conducenti che, dopo averlo guardato ed essersi consultati, gli dicono che no, gli dispiace, ma il biglietto non è valido e loro non possono salire. I tre danno più o meno in escandescenza, il flixbus chiude le porte e parte, inesorabile, sotto gli sguardi disperati di quei tre ragazzini che chissà poi come hanno fatto ad andare chissà dove.
Alla fermata dello zoo sale un po’ di gente. L’ultimo della fila è un signore dai capelli molto lunghi, sguardo simpatico e i piedi nudi. Nasce una surreale discussione: secondo i conducenti lui non può salire a piedi scalzi per questioni di sicurezza, lui sostiene il contrario mostrando tutte le sue ragioni. Il negoziato si conclude, le parti si accordano per almeno un paio di calzini e il flixbus riparte verso la fermata di Berlino Alt-Tegel.
A questa fermata sale molta gente e il pullman si riempie definitivamente, tra i nuovi arrivati anche una giovane coppia con il figlio, un bimbo di quattro o cinque anni, che ha una grande voglia di parlare. E lo fa, continuamente, a voce alta, mentre le luci sul bus sono spente e dormono tutti compresi i suoi che smettono di rispondere alle sue domande. Ma lui continua a fargliele.
Ormai è l’alba, nei pressi di Brema facciamo una sosta-colazione in un autogrill praticamente deserto a conduzione famigliare. Le brioches sono di sfoglia, giganti e (sarà forse un po’ la situazione o la fame) sembrano buone. “Solo dieci minuti e ripartiamo” dice l’eroico conducente e infatti, dopo dieci minuti esatti, ripartiamo.
Manca poco alla destinazione. Dopo Groninga il paesaggio si apre: vediamo il mare, le pale eoliche, un po’ di pioggerellina sui finestrini, gli altri hanno l’aria di chi sta quasi per arrivare, Amsterdam.