Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.
Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.
Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.
Bolo Mai, Ago e filo
Un’estimatrice e praticante amatoriale della sartoria come me non poteva lasciarsi sfuggire il nuovo singolo di Bolo Mai, dal titolo (ovviamente) “Ago e filo”. Le chitarre e i synth si corteggiano come gli amanti protagonisti della canzone e anche loro, come l’ago e filo per l’appunto, diventano inseparabili e necessari soltanto se insieme. Per racchiudere questo brano con una citazione, potrei dire che è certamente come quella canzone che fa “together we stand, divided we fall”.
Michael Venturini, A modo mio
Fascino anni Settanta, pantaloni a zampa e cilindro in testa: stiamo parlando di Michael Venturini e della sua nuova “A modo mio”. Il suo nuovo singolo sembra giunto a noi conservato alle modifiche del tempo e ai cambiamenti nella musica. “A modo mio” infatti, giunge alle nostre orecchie emergendo da una battistiana memoria e con questa gioca su quel tipo di ricordo musicale che conserviamo nelle nostre cellule sin da bambini: una melodia dunque familiare e forse proprio per questo bella in quanto nostalgica.
nube, Déjà vu
Ha le sembianze di un principe venuto dall’oriente, come un Aladin dei tempi moderni, Nube ci fa immergere nell’estatica estetica della sua musica. “Dejà vu” diventa il canto per aprire porte spazio-temporali entro labirinti emotivi e vicoli ciechi. A Nube però piace giocare con le trasparenze e per questo, nella musica come nel suo stile, sceglie di vestirsi d’organza, un tessuto questo adatto a tutti quelli che come lui amano destare nell’occhio di chi lo guarda un alone di mistero.
Le urla, Molla, Origami
Le urla hanno un cuore di carta e c’è chi si diverte per fare gli origami. Da sempre un’arte quella di creare piccole sculture dallo scheletro fragile come, del resto, siamo anche noi quando ci innamoriamo. E questo lo sanno bene Le Urla, che nel loro ultimo singolo ci fanno strada tra musica, colori sgargianti e strumenti di cartone.
Erbe Officinali, Tango
“Tango” ha i colori primari della stampa dei giornali e le immagini che ricordano la serigrafia di Andy Warhol. Ripropongono dunque la loro versione del pop, ripercorrendo lo stile e le immagini che hanno segnato la storia dell’arte nel boom degli anni Sessanta. Un occhio voyeuristico, la clessidra che dà il tempo e una rosa, simbolo di ogni cosa, ma che per le Erbe Officinali non può che rappresentare quello che per loro è “Tango”.
Puka Shell’s Bling, Puka Shell’s Bling
Il titolo e la copertina forse non basterebbero, nonostante l’autoreferenzialità, a descrivere il gruppo di stanza a Bristol ma che, come si direbbe, è cittadino del mondo. I suoni muovono tra l’R ‘n B, l’afro beat e il new soul, generi e musiche che si fondono gli uni negli altri come accade per i colori in un quadro. I colori caldi della copertina sono l’evocazione delle sensazioni che trasmette il brano: accogliente come una spiaggia dorata ma onnicomprensiva come il mare.