Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.

Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.

Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.

Golden Years, Laila Al Habash, Sale

Laila Al Habash riesce sempre ad avere quel giusto gusto retrò che si può raggiungere soltanto con una voce sussurrata ma penetrante come la sua. Se queste sono le basi dalle quali partire, chi può aggiungerci un pizzico di style in più? Certamente stiamo parlando del produttore romano Golden Years, che con la sua bacchetta magica conferisce al brano “Sale” quelle sonorità calde e ancora più avvolgenti provenienti dalla black music e dall’ R’n B. Insomma, se l’ultimo singolo di Golden Years e Laila vi fa immaginare su un terrazzo romano sorseggiando l’ennesimo cocktail e anziché guardare il tramonto vi sentite affogare nelle vostre lacrime che sanno di sale, allora vuol dire che i due hanno colto nel segno!

Ylyne, Odd dance music

Ylyne è il minimalismo visivo e compositivo, che a tratti ci ricorda la ricerca espressiva di Apparat di qualche anno fa. “Odd dance music”, lo dice persino il titolo, è un meltin pot di stranezze, di musica assurda, dagli effetti lisergici tanto che lo sconsiglierei solo se si teme di avere degli attacchi epilettici. “Odd dance music” sono colori psichedelici, sono raggi di luce che ti accecano la vista, sono le sfumature dell’iride che sfumano l’uno nell’altro creando un effetto di style che somiglia alla psichedelia di un concerto anni Settanta in una Woodstock incastonata nella Via Lattea.

Supernino, Supercinema

Occhiali specchiati, capelli ingellettati tirati all’indietro, camice anni Ottanta: personaggio uscito da un fumetto cyberpunk o stiamo parlando di Supernino? Effettivamente entrambi. Sì, perché Supernino sembra avere proprio tutte le carte in regola per uscire da un film come Matrix o da un più antenato Brazil. Occhiali scuri e luci al neon in un Supercinema distopico sembrano essere gli ingredienti perfetti per un personaggio così eclettico e stravagante come solo Supernino può esserlo.

Cortese, Hiroshima

Ha il colore delle vecchie foto in analogico e l’odore del caffè che si spande nella cucina appena svegli. Uno style quello di Cortese che definirei vintage, non in senso dispregiativo, quanto piuttosto come un gusto particolare per tutto ciò che non è moderno e digitale come tutto quello che ormai produciamo e di cui ci circondiamo. Per Cortese invece il bello è tutto ciò che rimane tra le macerie dei sogni infranti e delle crepe del quotidiano è tutto ciò che viene raccontato in “Hiroshima”. Una canzone sentimentale più che d’amore, che nasce dall’esigenza di far sapere al mondo che anche l’ordinarietà della nostra routine può nascondere qualcosa di straordinario.

Lena A., Non sono Roma

Ha i colori delle luci delle grandi città e il profumo delle margherite che invece ci ricordano distese di prati verdi. Questi sono le immagini che evocano “Non sono Roma”, il nuovo singolo di Lena A., una commistione tra costrizione e libertà, tra cultura e natura, tra voglia di amare sì, ma senza baratto al mercato nero dei sentimenti. Un singolo che trasuda chiarezza come quando si osserva un calice di cristallo controluce per vedere se ci sono graffi. E di graffi Lena A. sembra averne notati un sacco, e con l’arte del Kintsugi, anche Lena sembra aver imparato il segreto di riparare la vita con dei fili d’oro.

Kolè, Your Mouth

Illuminata dalla luce della divina Musica, ricoperta di fiori d’oro e un manto bianco, non è la Madonna ma Kolè, ovvero il nuovo volto dell’indie che sa già come fare per non amalgamarsi con il resto. Le ambientazioni sonore alla Radiohead o alla Portished la dipingono come un’entità eterea, come tale sembra essere la sua voce, eppure l’indagine di Kolè la porta ben più lontana nel tempo, fino a giungere nel periodo medioevale dei canti Gregoriani e della scrittrice Ildegarda di Bingen. Libertà di espressione e fascinazione ecclesiastica sono dunque il connubio perfetto per descrivere una delle creazioni dell’artista romana.

 

cover credits © Ilaria Ieie