Lontana dall’intento di scrivere un masterpiece della letteratura italiana, ho voluto comunque riprendere dal buon vecchio Thackeray (e non da Marchetti, attenzione) la serialità delle narrazioni che si susseguono in Vanity Fair e su quella falsa riga costruire un altro tipo di storie.

Anzi, più che storie, le mie vogliono essere delle immagini che cercano di legare alla musica di un brano le sue possibili evocazioni di ambito stilistico, tale che, in questa fiera della vanità, a sfilare siano gli artisti vestiti delle loro note, dei colori invisibili che solo con un orecchio attento si possono percepire.

Sulla passerella della vanità, lasciamo che a succedersi sul catwalk (di artisti e musicisti), sia invece la nudità dell’indie.

Leatherette, Itchy

Itchy è il gran ritorno dei Leatherette (foto di copertina): un brano vibrante e catartico che esplora il caos emotivo dopo la distruzione di un amore. La loro energia dalle influenze post-punk alla sperimentazione della new wave, si traduce in un viaggio sonoro in quattro atti: dalla tensione serrata dei versi, al ritornello astratto, fino all’esplosione liberatoria e alla quiete finale.

Vanarin, Hazy Days

I Vanarin, al loro terzo album, confermano la loro evoluzione artistica, e con “Hazy Days” ci fanno immergere nell’indietronica, nel nu-soul e nella psichedelia. Lavorando su ritmi spezzati e melodie ipnotiche, la band crea un’esperienza multisensoriale che oscilla tra l’introspezione e un groove sensazionale. Ogni traccia racconta una visione unica dell’esistenza contemporanea.

 

Il mago del gelato, Mélanie Chedeville, Tic Tac

Un brano dal fascino magnetico, senza tempo. Lento e avvolgente, il pezzo si sviluppa su un afrobeat vellutato che richiama atmosfere retrò, dove il pianoforte caldo e la voce eterea di Mélanie si fondono perfettamente. “Tic Tac” è un brano che trasuda eleganza, ascoltandolo ci immaginiamo in un locale parigino dalle luci soffuse, magari in cui perdersi attraverso una sofisticata esplorazione sensoriale e musicale.

Gaia Banfi, Piazza Centrale

Gaia Banfi ci regala un’intima esplorazione della memoria e della quotidianità. “Piazza Centrale” dipinge un affresco vivido di un piccolo paese immaginario in cui passato e presente sono le due facce di una stessa medaglia. La voce delicata di Gaia evoca immagini di desolazione, di fuga, restituendo una malinconia struggente.

ADA ODA, Settembre

In “Settembre, gli ADA ODA raccontano con delicatezza la fine di un amore con il loro inconfondibile stile  ipnotico e coloratissimo. Le chitarre ruvide e il ritmo reiterato evocano un’atmosfera sospesa, mentre la voce di Victoria, calda e spezzata, riesce a ridare quella sottile amarezza che percorre l’intero brano. Come sempre gli ADA ODA si riconfermano unici nel loro genere.