L’edizione 2018 di Club to Club Festival è sempre più vicina e per prepararci abbiamo incontrato uno dei più interessanti e coraggiosi – il suo nuovo album MOST BEAUTIFUL DESIGN uscirà il prossimo 16 novembre via Mille Plateaux in formato floppy disk (si avete capito bene) e digital – talenti italiani che si esibiranno nel weekend torinese: Bienoise, nome d’arte di Alberto Ricca, musicista, sperimentatore, fondatore di etichette, autore teatrale. L’unica definizione che rifiuta? Quella di dj.

Come nasce il tuo progetto e da quanti anni è attivo?

Non riesco a slegare Bienoise da me stesso, quindi risponderò come se fossi sempre stato Bienoise: i primi lavori elettronici, ancora inediti, risalgono ai primi 2000, anche se la prima uscita ufficiale è del 2010 (Sono Una Teiera Tonda Tonda\Il Mio Beccuccio è a Forma D’Onda). All’epoca non mi proponevo certo di fare elettronica, ma avevo appena scoperto che potevo registrare con il computer e possedevo un sintetizzatore che avevo comprato per amore dei suoni del progressive rock. L’unione di nuove possibilità tecnologiche e l’ansia di esplorare mi hanno portato inevitabilmente a fare cose che poi Internet mi ha insegnato essere musica elettronica.

Una domanda apparentemente stupida, ma che spesso rivela aneddoti interessanti: da dove hai preso il tuo nome?

E’ legato al luogo dove vivo [che si chiama Bieno, ndC2C], un bel posto in campagna. Non è un moniker particolarmente originale, ma credo mi definisca bene e mi piace che ci siano diverse scuole di pensiero sulla pronuncia corretta.

Come hai iniziato a produrre musica? È cambiato qualcosa nel tuo approccio dagli inizi fino a oggi?

Recentemente ci ho riflettuto molto: ho amato l’improvvisazione e la ricerca di nuovi suoni fin da quando mi hanno messo in mano una tastierina alle scuole medie. Ho fatto i miei bravi esperimenti di registrazione coi mangianastri e tentativi di circuit bending (che significava ficcare della roba nel GameBoy per farlo glitchare), ho suonato moltissimo rock, ma è stato attorno al 2009 che ho cominciato a lavorare seriamente e consapevolmente sulla mia musica. La vera svolta nella produzione elettronica è stata tecnica, col passaggio da Cubase a Renoise, nel quale ho trovato uno strumento adeguato – per quanto perverso, ed infatti dopo un album sono passato ad Ableton Live (oggi con MaxMSP). I metodi si sono raffinati, ma l’approccio non è cambiato: quando da piccolo giocavo coi Lego, costruivo i giocattoli che volevo esistessero. Spesso i miei brani nascono da un “ma non sarebbe bellissimo se esistesse un brano nel quale…che mescola…però coi suoni…”; per questo ad alcuni i miei lavori sembrano collezioni di singoli più che album coerenti: ciascun pezzo è un progetto a parte, e spesso devo inventarmi gli strumenti per realizzare quello che ho in mente.

Lo sappiamo, i progetti più interessanti sono quelli che difficilmente riescono ad essere definiti. Ma proviamoci lo stesso: se ti chiedessimo di provare a definire la tua musica con una frase, quale sarebbe?

Il tentativo più riuscito nel definirmi è quello che scrivo nella mia bio: “in bilico tra contemplazione e clubbing, con un profondo feticismo per strumenti portati al limite e mash-up tra generi”. Mi interessano gli estremi, la costruzione di mondi sonori, il genere musicale in quanto indice di una narrativa, non in quanto “ricetta”.

Fra le tue varie attività, hai fondato un’etichetta, la Floating Forest, specializzata in produzioni di improvvisazione radicale. Ci spieghi il significato di questa definizione?

Con Floating Forest pubblichiamo tassativamente solo musica improvvisata, in particolar modo opere il cui fascino risiede nel processo di costruzione del brano, piuttosto che nel risultato finale. Per “non finire a fare altro”, spesso le nostre uscite sono registrazioni di ensemble inediti o limitati (quartetto di batterie, duo di vibrafoni…), o composti da musicisti che non si conoscono troppo bene – secondo la nostra iperbole per cui “l’unica volta in cui improvvisi veramente è quando provi uno strumento nuovo”. Per questo ci definiamo radicali: crediamo che una coerenza assoluta nelle proposte sia importante per rimanere credibili ed incuriosire anche l’ascoltatore casuale, mostrandogli che esiste una via alternativa nella fruizione della musica (o di qualsiasi altro prodotto culturale).

Con “To be banned from Rome” sei diventato autore, con la coreografa Annamaria Ajmone, di uno spettacolo di danza contemporanea. Hai in programma altri progetti che, partendo dalla tua musica, la contaminano con altre arti?

Scrivere questo spettacolo con Annamaria è stata un’esperienza perfetta, che mi ha insegnato moltissimo e mostrato nuovi spazi da esplorare: la strada di To Be Banned from Rome è ancora lunga, ma spero davvero di continuare a lavorare con la danza contemporanea perché ci vedo ancora molta sincerità e possibilità di osare.

Sono anche ossessionato da cinema e fumetti, e spero di riuscire a sporcarmi le mani in tutto prima o poi.

Il tuo album “Meanwhile, Tomorrow” è uscito ormai 3 anni fa. È in arrivo un suo successore, o sei concentrato su altri progetti?

Se per “successore” intendiamo un altro album sulla falsariga di quello, non succederà molto presto.

Ma non smetto mai di fare musica nuova, ed un disco in uscita c’è: a novembre pubblicherò la mia opera più coraggiosa sulla rinata Mille Plateaux, un’etichetta che mi ossessiona ed ispira da sempre. E’ un grandissimo onore, ed è uno dei tasselli che mi servivano per credere ancora di più nel percorso intrapreso.

Qual è la più grande soddisfazione che ti sei tolto fino ad oggi? Quale quella che ancora devi raggiungere?

Credo che questo novembre sarà davvero il momento in cui il ragazzino che scaricava Boards of Canada, Oval e Venetian Snares da Kazaa mi darà il cinque alto. Ora è questione di continuare ad esplorare, e capire come parlare ad un numero sempre maggiore di persone come me.

Ti senti parte di un movimento, o preferisci pensare di muoverti in autonomia?

Il discorso sulla “non-scena” italiana ormai è liso, ma sono circondato da persone (non necessariamente musicisti) con le quali ho scambi continui ed un grande supporto reciproco, anche quando non condividiamo estetica o finalità. Se un movimento c’è, cerca semplicemente di fare cultura in ogni modo possibile – che sia spingendo nuove tecnologie, concetti od esperienze.

Prova a convincere i lettori che non ti conoscono a venire a sentirti live al C2C.

Anni fa, dopo una data per Rebel Rebel a Roma, Lee Gamble mi diede le sue impressioni sul mio live, descrivendo a parole la strada che già sentivo di dover intraprendere. Da lì in poi ho lavorato per un risultato specifico, ed oggi finalmente sono soddisfatto del modo in cui il mio live unisce, di nuovo, “contemplazione e clubbing”, improvvisazione ed efficacia, quindi credo sentirete il Bienoise migliore di sempre.

Consigliaci i nomi più interessanti del c2c di quest’anno, oltre ovviamente al tuo.

Yves Tumor l’anno scorso ha fatto un’esibizione intensissima, e l’ultimo disco è sorprendente. Credo sia inutile sottolineare quanto sono felice di vedere il live di Aphex Twin, ma attendo con ansia anche la preview con Sophie (intervista realizzata prima della sua esibizione a Milano il 18 ottobre scorso, ndr), che col suo ultimo album abbia davvero dimostrato cosa può essere l’elettronica oggi.

L’appuntamento con Bienoise è al Lingotto, sul Crack Stage, sabato 3 ottobre alle 21,30. Ci si vede a Torino!