Mille Punti viene da Milano ed ha costruito una macchina del tempo per far incontrare Pino Daniele con i Tame Impala. Per saperne di più su di lui siamo dovuti andare nel 1974.
Mille Punti, Milano (1974)
Chi è MillePunti? Com’è nato il progetto?
MillePunti è tante cose. È una macchina del tempo. È una visione. È il risultato di un anno e mezzo di lavoro. Ho voluto creare un progetto completamente nuovo che potesse rispecchiare al 100% le mie influenze. Dopo anni passati come chitarrista dei Revo Fever mi sono trovato in una situazione di stallo. Da una parte non sapevo come muovermi, non avevo un’idea chiara in testa e non sapevo che direzione prendere ma dall’altra sapevo che avrei continuato in qualche modo perché fare musica per me è una necessità, un bisogno primario. Non ho pensato di smettere neanche per un minuto.
Come ha preso forma l’immaginario che hai costruito attorno a questi brani?
Ho voluto sfruttare questo nuovo inizio per dare libero sfogo alle mie influenze e al mio background. Mi è venuto istintivo ispirarmi agli anni ’70 e alla psichedelia, sia musicalmente che esteticamente. Tanto per dire le grafiche dei singoli richiamano i colori del Roland Juno 06 che è l’unico synth che ho utilizzato in questi pezzi. È un mondo che sento molto mio da ogni punto di vista. In un certo senso volevo pagare il mio tributo agli artisti italiani di quegli anni perchè mi hanno ispirato tantissimo. Allo stesso tempo volevo riuscire a fare qualcosa che non risultasse derivativo o posticcio. Non volevo fare la fine dei Greta Van Fleet per intenderci.
“Non è successo niente” è il 2° singolo uscito pochi giorni fa. Di cosa parla?
È stato il primo dei pezzi che ho scritto e quello che in un certo senso ha dato il via al progetto. L’ho scritto di notte, dopo una discussione in sala prove durata ore. Eravamo appena tornati da una data andata male, il morale era a terra, per di più in un periodo di frustrazione generale in cui sentivamo di essere arrivati al limite. Uscendo dalla sala prove mi accorgo che mi hanno pure rimosso la macchina. Sembrava uno scherzo. Mi sentivo come Benigni in Berlinguer Ti Voglio Bene quando torna a casa bestemmiando. Dovevo trovare una scusa per andare avanti. Ho iniziato a dirmi questa bugia, “Non è successo niente”. Ho scelto di registrarla senza utilizzare il metronomo per mantenere l’impulsività, solo una chitarra e una voce. È un brano meno immediato del primo ma la cosa è voluta. Rappresenta un po’ l’estremo opposto che va a definire il terreno entro cui si muove il mio sound.
Come hai creato il sound molto caratteristico che identifica le tue produzioni?
Ho pescato da artisti italiani come Battisti e Tullio De Piscopo ma anche Tame Impala, Whitest Boy Alive, Metronomy… l’obiettivo era quello di fare canzoni ballabili, che fossero in grado di far scatenare la gente. Io nella vita amo divertirmi e penso che ballare sia uno dei modi migliori per farlo. La danza è istintiva, liberatoria, qualcosa di viscerale ed è esattamente quello che ho cercato di mantenere nei miei pezzi. Ho scelto accuratamente i suoni della drum machine e delle chitarre. Volevo che suonasse tutto in modo molto omogeneo. Anche il basso ha un ruolo fondamentale… un po’ alla Paul McCartney. L’unica cosa anomala è che ho usato un solo sintetizzatore in tutto il disco. L’uso massiccio di synth anni ’80 nelle produzioni di oggi per me è come la panna in cucina: appiattisce tutto.
A proposito di danza, parlaci del video di “Una Stupida Follia”.
“Una Stupida Follia” voleva essere esattamente questo. Un biglietto da visita in grado di riassumere l’idea che sta dietro Mille Punti. Volevo mettere nero su bianco la mia nuova identità, in modo anche piuttosto sfrontato e sincero, senza filtri. Già il nome del brano la dice lunga. Nessuno nel 2019 si sognerebbe mai di dire una frase come “stupida follia”. Dietro il video invece c’è una storia pazzesca. Ho conosciuto Matteo (il ballerino) ad un evento in Parco Sempione l’estate scorsa. Arrivava alle 19.00, rigorosamente da solo, e continuava a ballare senza sosta fino alla fine. Una cosa pazzesca. In lui ho visto l’incarnazione della mia idea di divertimento. L’ho dovuto rintracciare tramite facebook, una fatica incredibile. L’ho contattato a distanza di mesi per girare il video e pensavo che vi avrebbe mandato a cagare ma invece…
Chi è la squadra con cui hai curato il progetto?
Dopo aver speso quasi un anno a lavorare da solo sulle demo ho contattato Giacomo Carlone, già produttore di Belize, EgoKid e tanti altri progetti super interessanti. Devo dire che abbiamo fatto un lavoro notevole insieme. Giacomo ha un piccolo studio in casa qui a Milano quindi è stato un passaggio naturale per me. Poi è arrivato Francesco Italiano come ufficio stampa e management con Vetro Dischi. Ho scelto i collaboratori sulla base dell’entusiasmo che dimostravano. Avendo fatto tutto da solo volevo solo persone che dessero un apporto sincero, che ci credessero fino in fondo insomma.
Per chiudere l’intervista serve una domanda da Mille Punti… hai suggerimenti?
Vediamo… chi vince San Remo l’anno prossimo? Può andare?
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