La polvere copre tutto, copre le cose che ci circondano, i libri letti e mai più riaperti, i dischi, le chitarre che non suoniamo più. La polvere ci da l’illusione di mantenere tutto inalterato, a volte, persino le consuetudini ed i rapporti umani. La polvere congela il tempo e per fare ciò bisogna che tutto rimanga immobile. Ma basta poco, basta una semplice folata d’aria improvvisa e si alza il polverone. Polverone è il nuovo album degli AMARI, maestri di pop sbagliato dal 1997, uscito per Bomba Dischi/Universal lo scorso 20 ottobre, una nuova partenza in sgommata che li sta portando in tour sui palchi dei migliori club dello stivale.
Abbiamo raggiunto Davide “Pasta” per farci raccontare cosa è successo in questi vent’anni a loro e all’indie italiano.
Che effetto fa essere precursori di un movimento che oggi è finalmente arrivato alle masse?
E’ di soddisfazione e fa sorridere perché è una cosa che non abbiamo mai cercato. Dal 1997 abbiamo prodotto molta musica e attraversato molti generi, poi improvvisamente siamo passati dalle parti del mainstream con Grand Master Mogol (2005 – Riotmaker Records), che resta ad oggi il nostro lavoro più influente. Quel disco ha qualcosa di speciale perché risulta ancora attuale, la cosa strana è che il movimento di oggi ha meccaniche e regole completamente diverse, fa piacere farne parte ma non è facile riconoscercisi, sia per un fatto anagrafico che per la velocità con cui le cose in rete si muovono rispetto ai nostri esordi.
Il potenziale cambiamento anagrafico del vostro pubblico ha influito sulla stesura dei testi di Polverone?
Parliamo sempre di situazioni molto autobiografiche, a volte anche criptiche tanto sono intime. Cerchiamo magari in ultimo di aggiungere elementi che rendano il testo e la storia più universale permettendo anche ad altri di entrarci, ma non ci chiediamo mai che faccia o età ha il nostro pubblico quando scriviamo.
L’indie sta diventando mainstream, cosa ha contribuito a spingere i gusti musicali delle masse verso verso sonorità più alternative?
Vado contro corrente: è merito del fatto che il sound sta diventato meno alternativo, il pubblico di massa si sta avvicinando a questo genere perché l’indie non è più indie, le sonorità sono molto più pop rispetto a vent’anni fa.
Nei nostri primi anni in tour su e giù per l’Italia abbiamo condiviso il palco con un sacco di gruppi fighissimi però non ci sentivamo parte di quel movimento. Usavamo le chitarre in un modo diverso e non avevamo gli stessi dischi di riferimento. Eravamo gli alieni che arrivano dal nord-est, quasi mai etichettati come indie perché molto più melodici e pop con i nostri ritornelli e influenze funk, electro e rap. Siamo sempre stati un mix tra sperimentazione e melodia che una volta era considerato troppo pop, oggi invece no, complice anche il fatto che network grossi come Radio Deejay e diversi format televisivi hanno iniziato a spingere questo tipo di sound.
Sperimentazione è la parola chiave per avvicinarsi alla vostra musica, qual’è la traccia di Polverone più sperimentale?
Ci sono 2 pezzi in particolare, differenti dalla forma canzone canonica, in cui ci siamo divertiti a lasciarci andare utilizzando la musica uscita dalle varie jam-session piuttosto che plasmarla sotto un testo e sono Dinosauro e I Documentari Sullo Spazio.
Ci avete abituati a far uscire le vostre produzioni per Riotmaker Records, etichetta di cui sei fondatore, come è nata per questo ultimo disco la collaborazione con Bomba Dischi?
Abbiamo iniziato a scrivere questo disco senza porci alcun obiettivo e scadenza sapendo che alle spalle c’era Riotmaker pronta per pubblicarlo. Terminati i provini, per puro divertimento, abbiamo deciso di spedirlo in giro anche semplicemente per avere un parere: stai settimane chiuso in una stanza, tagli cuci, cerchi e campioni suoni nuovi, alla fine ti sembra di non avere più il polso della situazione. Per una serie di giri pazzi il demo è finito nelle mani di Bomba Dischi che ci ha chiesto di pubblicarlo. Per noi oltre che un onore è stato una sorta di passaggio di testimone perché le loro produzioni hanno le stesse attitudini della nostra etichetta.
A novembre è iniziato il nuovo tour, come è cambiato in questi anni il vostro live?
Stiamo suonando il nostro disco più elettronico, quello con più synth, rispetto ai precedenti tour, dove c’erano più chitarre e la batteria, questo è basato su noi che premiamo grossi tasti e lanciamo suoni matti, e poi c’è parecchio rap. Naturalmente non mancheranno un po’ di classici ma riadattati e rivisitati, ci siamo evoluti in una dimensione più eletronica che vogliamo però risulti pratica e giocosa, non sembriamo in ufficio davanti ad un computer, è un elettronica molto rudimentale che ci permette di interagire maggiormente con il pubblico guardandolo negli occhi.
Questo approccio mi fa inevitabilmente pensare ai Beastie Boys..
Quando devi crearti un immaginario e un estetica nuovi vai anche a pescare tra le cose che ti hanno formato. Per noi sono un punto di riferimento, i padrini di tantissime cose, un’icona, siamo naturalmente orgogliosi di ricordarteli.
Con il più anglofono Poweri (2009) avete conquistato passaggi alla BBC e nelle playlist di mostri sacri come Erol Alkan, vi è dispiaciuto che un vostro singolo non fosse nella playlist di capodanno di Calcutta?
Sì, per la SIAE (ride). Scherzi a parte va bene così, non credo siamo adatti per il Capodanno, una volta ci avevano anche ingaggiati per un concerto ma alla fine abbiamo rifiutato. A Capodanno devi essere felice per forza mentre a noi piace giocare e sperimentare anche con le emozioni.