RiccaBoy si è esibito live al Kafféklubben: ultimo (in ordine cronologico) degli ospiti dei concertini brevi direttamente nella nostra vetrina, la sua musica si è alzata tra i tigli che fronteggiano la libreria e ha riempito la via di suoni elettronici a cui ognuno di noi ha associato le proprie emozioni. Abbiamo viaggiato lontano e siamo tutti partiti dallo stesso posto.
Questa è la sua intervista che abbiamo realizzato per B&S.
Da quanto suoni? Come è nato il progetto “RiccaBoy”?
Suono da quando avevo 12 anni ma il progetto “RiccaBoy” è nato nel 2015. Venivo da varie esperienze con band locali e dopo l’ennesimo scioglimento, non avendo minimamente voglia di ricominciare da zero, ho scelto di proseguire per conto mio, iniziando a lavorare ad alcuni brani che avevo in mente da un po’. Così è nato il primo EP.
In che genere musicale ti inseriresti?
Ho sempre lasciato che fosse la curiosità a guidarmi, per cui ho spaziato tra varie sonorità, dal post-rock alla musica elettronica. Ultimamente sto scrivendo principalmente musica ambient, ma diciamo che non mi sono mai preoccupato di inquadrarmi in un determinato genere. Sono un po’ lunatico da questo punto di vista.
Sappiamo che ti ispiri alle colonne sonore dei film, hai mai pensato di fare una colonna sonora? Per che tipo di film ti piacerebbe lavorare?
Si, ho iniziato componendo musica per i miei stessi cortometraggi, girati insieme ad un collettivo di videomaker di cui faccio parte, i Wabi-Sabi. Nell’ultimo periodo ho collaborato con registi locali su alcuni progetti, ad esempio “Rudi”, una web-serie interamente girata e prodotta a Modena e “Forse domani”, mediometraggio di Fabio Fasulo.
Ci colleghiamo alla domanda di prima, qual è la tua colonna sonora preferita?
Veramente difficile scegliere ma credo che la colonna sonora di “HER” degli Arcade Fire e Owen Pallett sia quella a cui faccio sempre ritorno. Qualche mese fa, tra l’altro è stata finalmente pubblicata su vinile, una scusa in più per riascoltarla!
Il disco “Camera caritas” è uscito durante la pandemia, immaginiamo quindi tu non abbia potuto portarlo in giro e valorizzarlo ulteriormente. Quali sono i progetti futuri?
Sicuramente la pandemia ha costretto un po’ tutti a rivedere i propri progetti, ma diciamo che il mio ultimo album è nato con l’intento di essere un disco “timido”, quindi sono comunque felice del percorso che ha fatto. Attualmente ho in cantiere una sonorizzazione che spero di portare presto dal vivo. Ci sono tanti nuovi brani e idee a cui sto lavorando ma non so ancora di preciso quando e come usciranno. Diciamo che per il momento mi tengo occupato.
La tua musica è strumentale. Molti pensano che i brani senza testo siano incompleti. Come facciamo a convincerli che non è così?!
La canzone cantata ha la capacità di raccontarti in maniera diretta qualcosa. È estremamente efficace quando l’obbiettivo diventa veicolare un messaggio preciso e definito. La canzone strumentale funziona in maniera inversa: non ti racconto per forza qualcosa, ti lascio invece libertà di riempire gli spazi con le tue esperienze e sensazioni. Ovviamente sono caratteristiche intercambiabili tra i due tipi di canzone e non esiste una regola, ma tendenzialmente la canzone strumentale ha più possibilità di sperimentare ed uscire dalla struttura classica della canzone, dando a chi ascolta un punto di vista alternativo.
Consigliaci tre brani per avvicinarsi alle canzoni solo strumentali.
“The big ship” di Brian Eno, “Petrichor” di Keaton Henson e Ren Ford e “Heptapod B” di Jóhann Jóhannsson. Trovo siano brani accessibili ma utili ad avere una visione più ampia sul genere.
Su instagram pubblichi video sessioni con un taglio fotografico molto curato. Hai fatto studi (accademia o altro) nelle arti visive? Parlaci anche di queste video sessioni che vediamo spaziano da cover a pezzi originali.
Non ho studiato fotografia o videomaking ma sono sempre stato molto attratto dalle arti visive. I social permettono a chiunque di avere l’opportunità di mettersi in mostra, ma paradossalmente questa libertà crea una saturazione tale da rendere molto difficile distinguere una cosa dall’altra. Sono consapevole che i miei contenuti non siano la cosa più creativa o originale del mondo, ma credo sia importante curare e, quando possibile, dare un’impronta visiva precisa al proprio progetto. La vedo come un’opportunità di estendere il proprio messaggio oltre la musica.
Un libro che ci è piaciuto o che consiglieresti?
“Che tu sia per me il coltello” di David Grossman.
Per restare aggiornati sui progetti di Ricca Boy, seguitelo sul suo profilo instagram @riccaboy.