Dopo lo straordinario successo del tour, che ha debuttato il 7 novembre, giorno esatto in cui cento anni fa i bolscevichi formarono il governo rivoluzionario presieduto da Lenin come primo risultato dell’insurrezione di Pietrogrado, poi diventata Leningrado, questa sera giovedì 7 dicembre arriva al Palazzo dello Sport di Reggio Emilia l’ultima data invernale de “I Soviet + L’Elettricità” (evento qui), spettacolo/concerto ideato e diretto da Massimo Zamboni – musicista, scrittore e fondatore dei CCCP fedeli alla linea. A ripercorrere brani storici come “A ja lju blju SSSR”, “Morire”, “Manifesto” e “Huligani dangereux”, al fianco di Zamboni ci saranno artisti e musicisti fra i più significativi della scena italiana, alcuni dei quali già compagni di diverse avventure di Massimo: la cantante e attrice Angela Baraldi, il leader degli Offlaga Disco Pax Max Collini, l’Artista del Popolo Fatur, l’ex Üstmamò Simone Filippi, il percussionista Simone Beneventi, Cristiano Roversi alle tastiere e basso e il chitarrista Erik Montanari.
Abbiamo raggiunto Massimo Zamboni per capire al meglio le ragioni che lo hanno spinto a mettere in scena questo comizio musicale dedicato ai cent’anni della Rivoluzione Russa.
Foto di Riccardo Varini
Per I Soviet + L’Elettricità hai scelto un cast d’eccezione pieno di artisti e musicisti straordinari: questo tipo di lavoro collegiale è in linea con quello che per te è sempre stato il fare musica, oppure è un’idea maturata con il tempo?
Fare musica significa per me collaborare, sono sempre stato abituato a farlo sia con CCCP che CSI, dopodiché ho cominciato un percorso solista affiancandomi di volta in volta a diversi artisti. L’elaborazione di tutto lo spettacolo l’ho fatta io, è un’idea che covavo da almeno tre anni, poi quando dall’idea sono passato all’attuazione, neanche sei mesi fa, il tempo era così stretto che era inevitabile agire d’istinto e cercare un’azione collegiale. Ho iniziato così a coinvolgere artisti in cui riponevo la massima fiducia e con cui avevo avuto modo di collaborare negli anni come Angela Baraldi, Max Collini e Fatur che sapevo sarebbero sicuramente stati interessati al progetto e ai suoi intenti.
Manca solo Giovanni Lindo Ferretti. Questa sera (giovedì 8 dicembre) andrete in scena nella tua città lo hai invitato allo spettacolo?
No, sarei molto imbarazzato. Mi piacerebbe che Giovanni vedesse questo spettacolo ma preferirei non saperlo perché non mi lascerebbe tranquillo, potrei collassare sul palco (ride).
Hai pensato di portare in scena lo spettacolo I Soviet + L’Elettricità anche a Berlino città dove i Cccp sono nati?
Si mi piacerebbe molto. Stiamo cominciando a ragionare sull’estero dove credo potrebbe avere un ottimo successo anche se i testi sono in italiano, ma ci sono un contenuto e una comprensione che vanno al di là del significato stretto delle parole.
Questo spettacolo è presentato come comizio musicale. Il comizio è per definizione letterale “raduno solenne di popolo per deliberare su questioni di pubblica utilità”, è ancora in grado secondo te il popolo di avvalersi di questo strumento?
L’hai detto magnificamente, devo scrivermelo (sorride). Questo strumento è purtroppo decaduto e la parola comizio è scomparsa dalla nostra vita quotidiana, anche per questo che ho cercato di riportarlo alla luce. Voglio che si intenda da subito che questo non è uno spettacolo di consumo e non è un concerto, il palco è un palco politico sul quale si esprimono idee, istanze, pensieri e dubbi anche. Noi abbiamo una divisa addosso, tra il militare e lo spaziale, perché voglio che tutti quelli che stanno con me sul palco sentano la responsabilità di quello che suonano e dicono. Stiamo parlando di eventi storici di portata mondiale che hanno causato sofferenze e passioni indicibili, non è un gioco, è una rivoluzione ed è un secolo che è conseguita quella rivoluzione passando attraverso una guerra mondiale e infinite altre guerre locali. Prendere un carico del genere sulle proprie spalle potrebbe sembrare presuntuoso ma spero di aver usato il tono adatto per non esserlo davvero.
Sarebbe bello se la divisa venisse sempre indossata con questo senso civico e di responsabilità..
Sappiamo che la divisa molte volte viene usata per coprire soprusi e violenze, ma di fatto è un’uniforme, un gesto di uniformità e di trovarsi insieme uniti dagli stessi valori, vorrei che venisse vista in questo senso.
Secondo te c’è una possibilità che le nuove generazioni, semplicemente per una maggior consapevolezza di diritti e doveri verso il prossimo, possano incarnare quei valori socialisti che le singole rivoluzioni non sono riuscite a radicare?
Mi viene in mente una frase di Mao Tse-tung rivolta ai giovani: “Il mondo è vostro ed è anche nostro, ma in ultima analisi è vostro”. Considerando i tempi attuali verrebbe da ribaltarla: il mondo è tanto nostro quanto vostro ma in questo momento è nostro. Le azioni politiche di oggi sembrano cospirare per chiudere una prospettiva di futuro a chi è un ragazzo oggi. I diritti di cui tu parli si stanno sciogliendo come neve al sole, io faccio parte di una generazione che ha goduto di diritti, i miei genitori hanno lottato per quei diritti. Sono usciti dalla seconda guerra mondiale sentendosi cittadini, anche abbattuti a volte, c’era tutto da costruire, hanno avuto una vita durissima, piena di dubbi e di fatiche, con la consapevolezza però che si esisteva al mondo, che si poteva contare e che il mondo era fatto da noi per noi e si aveva modo di contribuire a cambiarlo. C’è una profonda differenza tra i cittadini di allora e di oggi con un continuo incremento di estraneità al sistema politico e alla res-pubblica.
Nessuna via di uscita?
Il fatto che potere e ricchezza si concentrino nelle mani di sempre meno individui e che la povertà si allarghi mi rende difficile pensare che il futuro possa tornare in mano ai cittadini a meno di grandi disastri che non saprei se augurarmi veramente. Di sicuro non rovesceremo questo trend restando nelle nostre case a guardare un computer o un telefono.
L’alienazione e la comunicazione virtuale dominanti oggi come ricadono nel tuo modo di promuovere arte e musica?
Talvolta utilizzo Facebook o il web per comunicare, per pura comodità, non potendo utilizzare mezzi più costosi, che però in fin dei conti non esprimerebbero il mondo attuale, come la televisione, per non parlare della crisi di radio e carta stampata. Diciamo che tutti i mezzi a disposizione è bene usarli con parsimonia e intelligenza.
Riesci a vedere oggi, tra la cosiddetta scena musicale italiana, qualcuno che porti avanti il discorso fatto dai Cccp per intenzioni, impatto e influenza?
No non riesco a vederlo. C’è sempre molta attenzione alla piccola vita quotidiana e molto poca attenzione ai grandi movimenti del mondo, pensare che il mondo sia una cosa grande che ci riguarda per intero, vedo con grande difficoltà la possibilità di esprimere questo adesso, vengono raccontate storie molto piccole.
Nel documentario “Il nemico – Un breviario partigiano” di Federico Spinetti dici che i CCCP cominciarono a suonare per salvarsi la vita. Oggi perché continui a suonare?
Per continuare a salvarmela sostanzialmente. A suonare e a scrivere. Credo fortemente nella possibilità di una salvezza individuale, e nell’obbligo di cercare di salvare la propria vita resistendo ad un tempo che è corruttore e la cultura è un’ancora di salvataggio. La cultura ci lega a tutti gli uomini che sono esistiti prima di noi, ai loro pensieri e azioni, ci permette di essere parte di questa lunga catena storica e che non finisce con noi.
Hai citato il tuo essere scrittore, ambito in cui hai ottenuto ottimi risultati, oggi è più punk suonare o scrivere?
Secondo me a rendere una modalità espressiva punk è il modo di affrontarla. Nel mio approccio c’è sempre molta sfacciataggine: abbiamo fondato i Cccp senza aver mai suonato prima, ho pubblicato il mio primo romanzo senza un precorso da scrittore alle spalle e ho cominciato a cantare tardi, a oltre i cinquant’anni (sorride), sempre con quell’attitudine che avevo imparato a Berlino, sentendomi dilettante ma con questa voce interiore a dire: “fa qualcosa per la tua vita, non puoi vivere nella paura, se puoi esprimere qualcosa fallo perché potrebbe essere utile anche per gli altri”.