Anima nuda, fragile e luminosa, l’artista italo-tunisina LNDFK arriva finalmente al suo debutto sulla lunga distanza con “Kuni”. Un album co-prodotto interamente con Dario Bass, fuori per la prestigiosa label newyorkese Bastard Jazz, licenziato in Italia da La Tempesta, e ricco di ospiti internazionali (dal compositore giapponese Asa Chang al pianista americano Jason Lindner ai rapper Chester Watson e Pink Siifu).

Fiore e fuoco, delicatezza e violenza, poesia e realismo, purificazione e distruzione e tutta una serie di opposti dialoganti tessono la trama del disco. Dieci brani – speculari tra lato A e lato B, ponendosi ognuno in risposta dell’altro, come due facce della stessa medaglia – oscillanti tra jazz e musica da film, trame orientali e beats elettronici, melodie dreamy e un sound con un approccio sempre molto intimo e sperimentale nei confronti della materia sonora trattata come ci racconta traccia dopo traccia.

01. Hana-bi

Ispirata alla colonna sonora di “Hana-bi – Fiori di fuoco” di Takeshi Kitano, 1997, è la chiave di lettura dell’intero concept dell’album, da rintracciare sia nell’estetica che nel contenuto. Fiori e fuoco, i due elementi espressi nell’ideogramma giapponese, che stanno ad indicare i fuochi d’artificio, sottolineano la connessione tra gli opposti eternamente dialoganti che costellano la drammaticità della pellicola e che risuonano in “Kuni”. La musica è stata ispirata, oltre che alla colonna sonora di Joe Hisaishi, ai fiori rappresentati nei quadri, opere dello stesso Kitano, che appaiono nel film.

2. Takeshi

Il titolo e il sound sono un omaggio a Kitano e alla sua opera, per la sua capacità di stare sul confine tra la vita e la morte. È da intendersi come un prolungamento dell'intro (“Hana-bi”) e infatti, sul finale, ho campionato un suono specifico dal film stesso. È per me la canzone della fuga: a 1:33 la voce canta “Better go now” ed è seguita dalle sirene della polizia per ricordare la scena in cui il protagonista ha commesso una rapina e fugge con la moglie.

03. Smoke – A moon or a button

È sicuramente la canzone più romantica dell'album, quasi come fosse la sola che resiste al nichilismo del disco. Quando ho scritto la prima parte il mio intento era quello di simulare qualcosa di simile allo standard jazz. Ho aggiunto la seconda parte nei mesi successivi, dopo che una storia mi aveva deluso. Le ho concepite come due canzoni diverse e la produzione cerca di sottolinearlo con un cambio drastico di sound. Il titolo del brano riprende il libro omonimo di Ruth Krauss e Remy Charlip, del 1959, in italiano tradotto come “La luna o un bottone, il sogno romantico o l’amore fatuo”. “Smoke” rappresenta uno stato d’animo, che mi sembrava di aver perso quando ho registrato il disco. Ho deciso di lasciare nel disco la voce originale della demo, la primissima che ho registrato il giorno in cui ho scritto la canzone, per sentire come girava. Seppure l’avessi registrata con gli auricolari dell’iPhone, tutte le take successive, comprese quelle ufficiali, mi sembravano prive dell’innocenza e della leggerezza della primissima.

04. Don’t Know I’m Dead or Not feat. Chester Watson

È un brano che affronta il fenomeno della depersonalizzazione, un’esperienza soggettiva caratterizzata da una persistente percezione di scollegamento dal proprio corpo, e da una ricorrente sensazione di irrealtà. È un fenomeno durante il quale il soggetto avverte un’alterazione della percezione di sé e dell’ambiente circostante (derealizzazione) come se fosse un osservatore esterno e tutte le sue azioni non sono percepite più come “vitali”. Può alterare anche la percezione del tempo e degli oggetti circostanti. Nella traccia, infatti, sono presenti dei cambi di bpm e una serie di elementi simbolici. Il flow è inquieto, uno stream of consciousness che scorre su una produzione adrenalinica e violenta. La transizione è delirante e subisce dei cambi di pitch come a voler sottolineare la sensazione di estraneità e disorientamento. Nella seconda scena si è come sospesi, distaccati. Si ha l’impressione di essere sott’acqua, dietro un vetro, come a suggerire un ottundimento dei
sensi e un’illusione di distanza. Nell’ultima parte il beat è zoppicante, il sound smanioso, appaiano ad intermittenza degli elementi che rompono il flusso dell’arpeggio ossessivo e del basso, vale a dire una serie di glitch che esaltano la sensazione di assenza di familiarità, come a voler ispirare una percezione aliena di sè.

05. Om

E’ un beat strumentale che conclude il lato eros. “A hole to see the sky through”. Mi piace perché è una sorta di sigla posizionata in quel punto del disco.

06. Hana-bi feat. Asa-Chang

Il pezzo d’apertura del side B: si ha la sensazione che il disco sia ricominciato da capo. La stessa traccia infatti sembra risuonare, ma questa volta è presentata distorta e pitchata, con il suono delle due parole che sono ripetute come un mantra, interrotte solo dalla parola “kokoro”, il cuore, che ci indica che le tracce a venire sono le risposte alle tracce ascoltate nel side A.

07. Ku

È la ferita che diventa lama – “the wound and the blade. both the torturer and he who is flayed". È una sorta di 氣 ki, come a determinare il massimo livello di forza dei soldati, il soffio vitale, la predizione del destino. Se Kuni è un nome proprio, Ku è il suo alter-ego. È un angelo, è la vendetta che cade come l’ombra – “Over me the Sun is gone” – è la lama della spada che incombe a squarciare il buio e la rivela nella sua natura mortale, “some stars are crimes”, alla quale non può sottrarsi “Do what you gotta do, Deadly pretty Ku, little girl”, riferimento alla “piccola letale Miho” di Sin City, è la storia di una geisha che affronta una caccia senza fine, dove la vittima è diventata carnefice. La produzione segue l’evoluzione della sua storia tentando di restituire uno scenario sonoro a quelle che erano originariamente le vignette di un fumetto: Intro – scena 1: Il suono del koto introduce il profilo di una geisha che cammina lungo un lago del Giappone. Da un lato i fiori del suo kimono e dell’altro la lama della katana. La pace dell’intro è rotta dalle strofe, che si alternano su sezioni in cui si racconta la storia, a momenti in cui la tensione della lotta, nell’arrangiamento è espresso con degli stacchi, si risolve nel ritornello. La tensione costruita dalle prime note della canzone sembra mirare al minuto 2:22, punto nel quale la tensione raggiunge l’apice: è il momento della grande lotta – “no piety” – gli obbligati suggeriscono le pose plastiche della lotta e gli hi-hat della drum sono come “as a sword flight”. La coda elettronica costituisce il punto di fusione del disco tra Eros e Thanatos, in cui il carnefice si arrende e cede la propria vulnerabilità in una dichiarazione d’amore.

08. Ktm feat. Jason Lindner

Traccia che si contrappone alla delicatezza di “Smoke” in cui gli accordi lunghi sostengono una drum fittissima e un fraseggio intermittente e distorto si alterna a quello più fluido di un theremin.

09. How Do We Know We’re Alive feat. Pink Siifu

È il nome di un paragrafo di “The Body Keeps The Score” dello psichiatra Bessel van der Kolk, un libro riguardo le esperienze traumatiche e i suoi effetti. Il brano è speculare al singolo “Don’t Know I’m Dead or Not” (traccia num. 4 del side A) e si pone come risposta a quella domanda. Il sound è più concreto, la traccia è meno sospesa come rivolta all’azione. La canzone prosegue il discorso sulla depersonalizzazione e i fenomeni dissociativi e la corrispondenza tra le due canzoni è rinforzata dagli artwork speculari, entrambe possono essere intese come parti di un unico discorso.

10. se mi stacco da te, mi strappo tutto:

Il titolo del brano corrisponde al primo verso dell’omonima poesia di Edoardo Sanguineti. Desolata, malinconica e rassegnata come “La speranza di un condannato a morte” di Mirò. È un haiku struggente che si risolve in una “Moonriver” distopica.

Photo credit @ Mattia Giordano