“Siamo partiti dall’idea di trasformare in musica ed immagini la sensazione di oppressione e violenza che la ruotine quotidiana genera: il pensiero del protagonista è quindi un loop che schiaccia e comprime. Suono ed immagine sono poi cresciute insieme.” Con queste premesse non potevamo farci sfuggire l’occasione di portarvi fisicamente nel backstage di “Wake Up”, il videoclip del nuovo singolo dei Typo Clan che anticipa l’LP in uscita ad aprile 2021 per Vulcano.
“Wake Up”, che parla di quanto sia soffocante la ripetitività nel quotidiano, di come la vita possa diventare un loop spesso difficile da sopportare, è una traccia che ancora una volta dà spazio alla miscela hip hop, funky, neo-soul che caratterizza il sound urban del Clan (orgogliosamente) bresciano e che lo colloca tra i progetti italian dal forte respiro internazionale.
Il videoclip, nato da un’idea del duo e Marco Jeannin (e diretto da quest’ultimo), è composto da due scene che si ripetono alternandosi. Il set, allestito al moonwalk studio di Brescia, è infatti diviso in due filoni narrativi. Nel primo 3 personaggi che inizialmente sono solo una didascalica interpretazione del loop – ossessivo e martellante quanto la routine che racconta – e che diventano poi protagonisti della violenza. Nel secondo un ritratto di passività e rabbia del protagonista, che come il ritmo incalzante che accelera nel finale, prova a scuoterti dal torpore della noia, una sveglia che sa di promemoria, per ricordarsi che il tempo è nostro, ma non dura per sempre.
Un video realizzato con un bianco nero quasi metafisico, che per la parte visiva e la scelta degli attori, oltre che per le foto di questo servizio, ha visto la collaborazione di Federico Trivella, già nel Clan in qualità di portatore di stile, a presentare quelli che sarebbero diventati i 4 volti del videoclip: Mahel Diouf (protagonista), Kristoffer Castro, Errol Bacay e Pedro De Sousa.
I Typo Clan ci salutano infine raccontandoci quanto sia stato bello e naturale la realizzazione di questo video: “non c’è stato bisogno di spiegare nè raccontare le nostre intenzioni. Hanno tutti capito fin da subito quale fosse l’esigenza narrativa alla base, e questo ha solo una spiegazione: il malessere generato da un sistema difettoso è troppo condiviso e diffuso.”