Questa mattina ho violato la prima regola per iniziare bene la giornata nell’era dell’iperconnessione. Ho acceso il telefono, scrollato le notifiche e saltato da una story all’altra finché non mi sono imbattuta in un quadrato arancione caldo con un cerchio, in cui non è chiaro se sia racchiusa una galassia di stelle o una spiaggia abbandonata nella notte. Sotto il titolo di un brano, il nuovo di Iosonouncane, otto lettere che fanno di un mese il più tosto dell’anno. Novembre.
Novembre di Iosonouncane è un valzer tra credenze impolverate e nei riflessi dell’argenteria opaca, che una volta troneggiavano in salotto. Novembre di Iosonouncane è una storia, come poche se ne raccontano ora che i talent sono così espressi da durare meno di una tazzina di caffè. Sarà che la sera prima mi sono addormentata leggendo Gli idilli difficili di Italo Calvino, ma mi sembra di trovare in Novembre l’arte del racconto. Le parole prendono forma e vedo Cristina mangiare “bene soltanto a Natale, soltanto davanti a un bicchiere di vino”.
E oltre a Cristina, la protagonista, in Novembre vedo anche la terra scura dalle pellicole di Cesare Zavattini e gli occhi stanchi di Monica Vitti. Ci ho visto la postura ingobbita di Luigi Tenco, il suo sguardo annuvolato, e non mi stupisce che il secondo brano dell’ep sia una dedica al cantautore della scuola genovese.
Vedrai, vedrai è una canzone sacra, una cattedrale in cui gli artisti dovrebbero entrare in punta dei piedi e in religioso silenzio. Mi piace pensare che quei battiti di cassa all’inizio della versione di Iosonouncane siano un bussare sospeso prima di farsi avanti, passo dopo passo, verso la navata centrale.
Chissà cosa penserebbe Jacopo Incani, se leggesse tutto questo. Sorrido e mi soffermo a pensare quanto sia bello, ormai insolito, poter affermare che in una canzone si possano vedere i dettagli. Un piacere sensoriale lontano, come un abbraccio nel duemilaventi.