La giovane e talentuosa artista alt-pop HÅN sta conquistando pubblico e critica con un sound in bilico tra dream-pop ed elettronica dal sapore internazionale, ed è pronta a presentare dal vivo il suo nuovo EP in uscita il 1 dicembre 2017, con Otto imperdibili appuntamenti promossi da Radar Concerti che la vedranno condividere il palco con Hundred Waters il 6 novembre e con la storica band Lamb per le tre date del tour italiano. Sarà inoltre tra i protagonisti della nuova rassegna Linecheck – il 22 e 23 novembre a Milano – insieme ad artisti internazionali come Sevdaliza e Little Dragon.
Dopo la release dei due singoli accompagnati dai rispettivi videoclip e l’annuncio del disco di debutto, abbiamo incontrato, ascoltato e fotografato HÅN, alla data zero allo Spazio Off di Bologna. (clicca sulle foto per ingrandire)
HÅN – 1986 è il tuo ultimo singolo.
Chi è HÅN? 1986, dopo The Children, ha conquistato il cuore di molti con il suo delicato dream pop venato di elettronica. C’è un significato particolare dietro al titolo?
Han è il mio progetto, nato dall’esigenza di fare musica e allo stesso tempo di creare qualcosa di personale, mettendo insieme i pezzi che ho scritto, per uscire allo scoperto e provare a mettermi in gioco.
1986. Il titolo è l’anno in cui si sono conosciuti i miei genitori, però la canzone non parla di loro. E’ un titolo che amplia lo spettro visivo del brano, non parla solo di me ma più in generale. Il testo è un po’ ermetico e in un certo senso è volutamente interpretabile a seconda di chi lo legge. La frase centrale comunque dice “perché si resta in una relazione, se non si è soddisfatti” e non si riesce a staccarsi da questa situazione che esprime in buona parte il significato della canzone.
Se pur giovanissima hai una forte identità e maturità musicale, quali sono i tuoi ascolti e le tue radici?
In questo momento ascolto The Japanese House, un progetto di una ragazza inglese, Aurora, ragazza norvegese, mi piacciono anche i CVRCHES ultimamente. Se penso più in generale alle radici, ascolto anche molto pop, non alla LadyGaga per capirci, ma stilisticamente più vicino ad esempio ai 1975, band che proviene dalla scena indie ed ora più orientata al mondo pop. Mi affascina questa visione del “pop”, diversa da quella che passa per radio.
Curiosità, venendo anch’io da un paese di provincia, com’è fare musica vicino al lago di Garda. Si narra che questa tranquillità abbia influenzato il tuo stile.
Ma guarda in realtà passo il tempo a pensare di vivere altrove (sorride). Questa cosa dell’influenza musicale data dal luogo è stata associata al primo singolo “The Children”, al significato della stessa, al bosco in cui è stato girato il videoclip.
Stasera siamo a Bologna, città dalla forte cultura musicale, in cui sono cresciuti cantautori come Lucio Dalla e Luca Carboni, a cui hanno attinto fortemente artisti pop attuali. Cosa ne pensi più in generale di questa scena maschile all’italiana con interpreti quali esempio Calcutta, Cosmo, Vasco Brondi, Giorgio Poi.
In verità non ascolto molto la scena indie pop italiana, però penso che abbia il suo valore, alla fine se una cosa funziona… Tanti, in un certo senso tutti, pescano nel passato, un po’ come nella moda.
E se penso parallelamente alle quote rosa vedo artiste come te, LIM, Giungla, Birthh, Joan Thiele, tutte, senza esclusione, utilizzare lingua e sonorità internazionali. Tu hai mai pensato di cantare in italiano?
Se guardo allo scenario pop maschile, ha una sua identità ben precisa. I testi di Vasco Brondi , ma anche di Stato Sociale o di Canova tra gli altri, hanno un loro linguaggio ben distinto, un qualcosa in comune che li identifica.
Io ascolto prettamente musica in inglese, in primis perché mi piace ma anche perché ha una forma linguistica che esprime i significati in modo differente. In questa lingua esprimo meglio i mie testi, è tutto più naturale per me.
Abbiamo avuto molte recensioni da magazine internazionali e la cosa non posso negare farmi piacere, adoro la scena inglese e se potessi immaginare un futuro ideale lo vorrei all’estero.
Cambiando totalmente discorso, i tuoi videoclip come i tuoi outfit sono molto curati. C’è un legame tra il tuo stile e la tua musica?
Sto basando l’intero progetto su un pattern di colori e materiali. Il bianco, l’argento, il glitter (esempio sotto gli occhi nel videoclip di 1986), il marmo negli shooting. Stiamo curando molto foto e materiale grafico.
Qualcosa in particolare a cui non rinunci salendo sul palco?
Durante i live mi vesto in modo naturale come nella quotidianità, non penso al momento condizioni la percezione di me e della mia musica. Per ora niente di imprescindibile. Capi neri (si scherza).
Oggi è la data zero del tuo tour invernale che anticipa anche l’uscita del tuo primo EP. Cosa dobbiamo aspettarci e cosa ti aspetti da questo tuo debutto?
Spero che venga percepito un lavoro unitario, un progetto compatto sia dal punto di vista del suono che del concept, grafica e significato che ruotano attorno ad esso.
Cosa mi aspetto io? Non mi piace farmi aspettative (ride). Arrivare alla gente, arrivare a voi.
Spero sia il punto di partenza per qualcosa di più grande…