Ci sono davvero tante cose che amo fare, mi vengono, per esempio in mente in ordine sparso, giocare (cioè vincere) a calcio balilla, mettere i dischi, guardare le serie tv e sì, anche scrivere i pezzi. Nulla di tutto ciò (con una porta semi aperta lasciata solo per il binge watching), tuttavia, è qualcosa che, sinceramente, farei volentieri ogni giorno della mia vita.
Al contrario, seppur con i dovuti “per ora” e “in questo momento della mia vita”, Tananai mi spiega, al 32esimo minuto della nostra chiacchierata, che gli piacerebbe moltissimo svegliarsi ogni mattina sapendo di poter andare a suonare la sua musica. E quando me lo dice, non trovo in quelle parole nulla di stucchevole, ma solo un messaggio onesto, di uno che sta raccogliendo i primi frutti della sua arte e nel più naturale dei modi se li sta gustando tutti. Ora, facendo un passo indietro, Alberto Cotta Ramusino, classe 1995, di Cologno Monzese, non mi sembrava proprio il tipo da intervista classica, forse per alcuni riferimenti nei suoi testi e nei suoi video che mi hanno fatta più che sorridere (no spoiler, vi tocca leggere), forse per la faccia che ha, un po’ stropicciata e che ti immagini incurvarsi facilmente al primo accenno di noia. Così, come recitava l’unica vera serie tv italiana che è “Boris”, ho smarmellato qua e là, quindi non troverete domande sul perché ha chiamato il suo ultimo singolo “Calcutta” (quarto uscito per Sugar), ma sul perché, sempre in quel pezzi, ha deciso di citare proprio Cambiasso, quello sì.
Dunque, leviamoci questo dubbio: perché hai tirato fuori proprio Cambiasso?
Perché io sono mega interista, ma, pur con questa fede calcistica, non ho mai seguito tantissimo le partite, a parte quelle random guardate con papà quando ero piccolo. L’anno che, invece, ho proprio fatto il tifoso, in squadra c’era in squadra Esteban Cambiasso, che mi piaceva perché non era un Cristiano Ronaldo, o un Figo o un Ibra: aveva quella faccia da mastro Lindo, eppure è diventato uno dei trascinatori dell’Inter del 2010, quando abbiamo fatto il triplete. Io non l’ho conosciuto, ma già solo il fatto che abbia accettato di comprare in un cameo del video (perla assoluta, che trovate nel video qui sopra ndr) fa capire che è uno molto easy e soprattutto molto gentile
Già, credo che Ibra non avrebbe accettato.
No, non credo proprio.
(A questo punto io, tifosa del Parma, e Tananai, come abbiamo sviscerato, dell’Inter ci siamo un attimo persi via parlando di calcio, e tirandoci reciprocamente ma involontariamente un po’ di sfiga, e vedremo a giugno chi ne avrà raccolta di più).
So che il tuo nome d’arte deriva da una storia famigliare, me la racconti?
Tananai è il nomignolo con cui mi chiamava mio nonno paterno. Dato che è scomparso nel 2002, cioè quando ero piccolino e l’idea di fare musica era in divenire, quando, invece, l’ho messa bene a fuoco, ho voluto renderlo in qualche modo partecipe della cosa. Anche perché quello è stato l’unico lutto importante della mia vita, mi pare, così, di includerlo.
Ma è dialetto o se l’era inventato di sana pianta?
Nessuno della mia famiglia sa di preciso di quale dialetto si tratti, ma è dialetto, e dovrebbe significare qualcosa tipo schiamazzo, quindi detto da lui voleva dire piccola peste, qualcosa del genere. (Studiosi dei dialetti italiani, aiutarci a risalire all’origine di “tananai”).
Nel giornalismo musicale si ha sempre bisogno di classificare un artista per genere, oppure di paragonarlo a qualcun altro. Fallo tu al posto mio.
Mh, okay. Allora, per quanto riguarda il genere, non starò a dirti robe tipo “non mi sento di appartenere a nessun genere”, perché so che ogni pezzo che faccio è classificabile in una categoria. Nel caso di “Ichnusa”, per esempio, si tratta di musica indie, anche se so benissimo che c’è tutto un dibattito in corso su che cosa possa essere definito indie e cosa no, “Calcutta” la vedo una canzone pop, mentre “Volersi male” strizza l’occhio all’elettronica, e nelle prossime canzoni che farò varierò ancora, quindi sento di appartenere a un genere diverso ogni volta che esce un pezzo.
Pensando alla trasversalità, ti chiedo, e mi scuso in anticipo, chi è per te l’artista italiano del di questo decennio.
Bella pesa, a bruciapelo, come quando chiedi a qualcuno “qual è il tuo film preferito” e uno di pancia deve dire il primo che gli viene in mente. Guarda, se uno si deve ricordare di uno in particolare sì, c’è Sfera, però forse più per i numeri e i risultati…Cazzo, è difficile…Allora, dunque, se devo fare un nome a cui sono personalmente riconoscente e legato, allora è Franchino. Franco126. E lo motivo dicendo che ha dimostrato, appunto, una grande versatilità, un’attitudine bellissima ad avvicinarsi a un mondo e poi a un altro a seconda dei brani che fa.
Ti faccio rilassare un attimo da questo affanno, e ti faccio parlare dei tuoi video, che sono un’aggiunta preziosa alla tua musica. Con chi ci lavori?
Fin dal primo video lavoro con Olmo (Parenti ndr) e Marco (Zannoni ndr), che sono prima di tutto due miei amici. Abbiamo, poi, anche scoperto di avere una sensibilità simile, una visione comune delle cose, per cui lavorare insieme è stato naturale e divertente. E non ho scelto parole a caso: credo davvero che darsi delle pose o fingere di essere altro rispetto a ciò che si è non funzioni. Quindi, loro che sanno che sono sia un cazzone che un preso male, nel video, metti, di “Bear Grylls” fanno venire fuori sia la parte di me depressona, che quella abbastanza fuori. Tutto nasce in maniera molto organica: ci vediamo, beviamo e davanti alle birre parliamo di come si potrebbe fare un video e lo facciamo. E ci divertiamo, e credo si veda. E se tu ti diverti mentre fai qualcosa, quella cosa è genuina e per me è un valore assoluto.
Riesci a guardarli da fuori e percepirne, passami il termine, la coolness?
Non troppo, ma è un discorso molto analogo alle mie canzoni. Mi spiego: per far uscire un pezzo, ovviamente, mi deve piacere, però hai presente quelle canzoni che ami e che ascolti così tanto che poi ti vengono a noia? Ecco, per me funziona abbastanza così: anche se sono assuefatto da un lavoro, conservo comunque il ricordo del perché lo avevo amato, mi lega ad esso una sensazione positiva, però fatico ad approcciarmi ancora. Ti dico, da quando sono usciti i miei video, li avrò visti in tutto due volte.
Ti faccio l’ultima domanda tosta, poi basta, promesso. Abbiamo citato diversi artisti maschi e se guardo alla scena italiana è palese il predominio maschile: credi che ci sia un problema di sessismo o in questo momento c’è carenza di talenti femminili?
Pure questa è una bella domandina, vado a ruota libera e vediamo se riesco ad arrivare a una conclusione. Innanzi tutto, forse tra i nomi di spicco vedo un po’ di carenza di musiciste, però nel territorio di mezzo ci sono grandissimi talenti, che faranno bene, penso a Lil Jolie, che ha solo 19 anni e questa giovane età le darà tutto il tempo di sperimentare, creare, migliorare, poi Margherita Vicario per me è bravissima, Angelica, un’altra che stimo tantissimo. Il problema, secondo me, sta più nell’audience italiano, perché se guardi alla scena americana, inglese ed anche francese il genere gap è stato praticamente colmato. Non credo che nel settore ci sia vera discriminazione, ma veniamo dell’itpop e dalla trap, che sono stati a lungo dominati da maschi, però vedo segnali postivi, c’è Chadia e c’è La Madame, che è un drago, una fuoriclasse vera. Un lavoro gigantesco lo sta facendo MYSS KETA, con il discorso della ballotta femminile, molto nuovo in Italia, quindi bella per KETA.
Visto che suoni il 16 al Serraglio, il 23 a Perugia, il 29 a Treviso, l’8 dicembre a Roma e il 4 gennaio vicino a Firenze (per tutte le info cliccate qui) mi dici come arrivi sul palco? Ansioso o tranquillissimo?
Ci arrivo sicuramente emozionato, anche perché non è una cosa che faccio da tanto. Di sicuro ci arrivo anche un filo bevuto, ma sfasciarmi mi sfascio dopo, perché mi piace far festa e vivo il live come la festa per eccellenza. Perché questa è davvero la cosa che voglio fare nella vita: quando mi accorgo che è passata un’ora e io ho percepito tipo 5 minuti di concerto, realizzo che suonare è la mia cosa.
La tua prima volta sul palco com’è stata e quando è stata?
Beh, ero sicuramente più ansioso, perché ero abituato a fare dj set. Poi ho pure un aneddoto piuttosto tragicomico, legato alla prima volta che preso un microfono in mano: a quei tempi facevo Architettura, ed ero andato a parlare in un circolo Arci, popolato da una ventina di vecchietti che ascoltavano così, perché non avevano niente da fare, non perché gliene fregasse della nostra proposta di riqualifica del territorio. Ebbene, era arrivato il mio momento di parlare , mi hanno passato il microfono e io ho balbettato, ma di brutto. Non riuscivo a respiro, tipo, quindi ero abbastanza traumatizzato da questa cosa. E invece la prima volta sul palco è andata al contrario, ho scoperto che oltre a cantare mi piace un sacco parlare con la gente, tirare in mezzo, prendere per il culo i ragazzi, nonché amici e due di loro coinquilini. Per concludere: non vedo l’ora di starci, sul palco, so che vorrei suonare ogni giorno della mia vita davanti a persone diverse.
Qual è, invece, la cosa che vorresti non succedesse mai durante un tuo show?
Che la gente venga lì per fare casino, per essere molesta, per attaccare briga. Odio questa cosa.
Ultima domanda, che mi sa che ti ho asciugato: la line up dei tuoi sogni, a un festival in cui suoneresti anche tu.
Frank Ocean, Tyler, The Creator, Il Volo, perché farebbe spaccare vedere Tyler dopo Il Volo, FKA Twigs. Di italiani voglio solo Il Volo e me, parecchi sarebbe super lol.